Il mondo della miniera è solito risuonare al maschile. Sentire una voce di donna equivale quasi a una “profanazione”. Patrizia ama la miniera. È sarda e nell’isola “che non è solo mare e turismo” è fiera di essere una minatrice, come suo padre. Lei è ad oggi l’unica minatrice d’Italia. La sua voce accompagna la narrazione di un bel momento dell’8° festival internazionale del film di Roma, quello del documentario Dal profondo, diretto da un’altra mano femminile, la brindisina Valentina Zucco Pedicini.
Un lavoro poetico e importante, encomiabile anche per la difficoltà intrinseca a spazi e tempi di ripresa. “Quello della miniera è un mondo capovolto: lì non valgono le stesse regole del di sopra, tutto cambia, il respiro, i suoni, i colori e l’umanità”. Colpisce l’amore che i lavoratori della miniera Carbosulcis Srl provano per il loro “ambiente naturale” a 500 metri di profondità: spesso sono figli d’arte, verrebbe da dire, avendo ereditato da padri e nonni questa professione antica e ancestrale come poche altre. Un viaggio al centro della terra in senso letterale e metaforico, un percorso che non esclude la lotta tenace dei 150 minatori – i soldati del sottosuolo – contro la chiusura della loro casa, la miniera di carbone frutto di tante polemiche essendo ormai passati 10 anni dall’ultima sua vendita di carbone estratto. Nel novembre 2012 l’hanno occupata per 8 giorni, poi sono riusciti a ottenere una sospensione (o rinvio…) del provvedimento di chiusura.
Patrizia sembra un’opera d’arte forgiata da uno scultore sardo: gli occhi azzurri a illuminare il volto scavato e spesso annerito di carbone, il fisico minuto ma granitico circondato da braccia muscolose. È fibra umana allo stato puro. Ricorda suo padre, quando le spiegava il senso della miniera. Un senso che ha trasmesso al figlio 25enne, che tuttavia comprende i rischi e forse oggi l’inutilità di impiegare risorse “di salute” a tali profondità: “Ho 25 anni, posso ancora cambiare, e la sera sappiamo bene cosa ci esce dal naso… tanto poi la chiuderanno, non ne vale più la pena”.
Valentina Zucco Pedicini ha lavorato “in profondità” in ogni senso, rimanendo 26 giorni nel sottosuolo ottenuti dopo 2 anni di richieste per un “accesso esclusivo” con il quale ha portato ogni giorno “su e giù i dolly”. Un’impresa che ne è valsa un documentario di rara intensità.