Dal 15 al 30 novembre si terranno numerose iniziative per parlare della condizione dei detenuti in Italia. Attesi Fabio Anselmo, Felice Casson, Gherardo Colombo, Teresa Marzocchi e il ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri
Si parla degli effetti, come il sovraffollamento delle celle e la conseguente emergenza nazionale, ma non abbastanza delle cause. Per questo, a Bologna, dal 15 al 30 novembre l’iniziativa “Fine pena: mai. 5 dialoghi su donne e uomini, oltre le mura del carcere” vuole fare il punto su uno stato di fatto da troppo tempo oltre i limiti del violazione dei diritti umani al punto da far pronunciare a carico dell’Italia una condanna da parte della Corte europea di Strasburgo. Accadeva a inizio 2013, ma a distanza di quasi un anno la situazione non è cambiata. E allora Progrè, associazione studentesca che dal 2011 si occupa di politiche migratorie, questioni generazionali e della realtà carceraria, ha invitato una serie di personaggi del mondo della politica, della cultura e della giustizia perché se ne discuta e si incentivi un percorso di sensibilizzazione.
Tra di loro, l’avvocato ferrarese Fabio Anselmo (legale della famiglia di Federico Aldrovandi), il presidente della commissione ministeriale sul sovraffollamento Mauro Palma, gli ex magistrati Felice Casson e Gherardo Colombo e l’assessore regionale dell’Emilia Romagna alle politiche sociali Teresa Marzocchi. E a comporre il panorama degli interventi previsti nella due settimane di dibattiti compare anche il nome di Anna Maria Cancellieri, il ministro della giustizia finito di recente al centro delle polemiche dopo la scarcerazione di Giulia Ligresti, arrestata con i familiari a metà luglio nell’ambito dell’inchiesta su Fondiaria-Sai.
Cinque i percorsi di riflessione che Progrè intende affrontare nel corso delle iniziative di “Fine pena: mai”. Il primo, incentrato sul detenuto, parte dalla relazione annuale delle attività svolte dal garante dei detenuti in Emilia Romagna. Relazione secondo la quale l’80 per cento di chi è rinchiuso nelle carceri della regione è composto da “persone che vivono in uno stato di svantaggio, disagio o marginalità sociale, con uno sfondo di precarietà familiare e di carenze educative”. Poi si affronterà il tema dello spazio in cui queste persone vivono, le celle, troppo limitate per favorire il successivo argomento di discussione, il reinserimento, previsto dall’articolo 27 della Costituzione. Inoltre c’è poi la questione irrisolta della tortura, non ancora contemplata come reato dall’ordinamento italiano, ma motivo della condanna europea d’inizio anno. Infine il discorso si articolerà sul carcere e sulla giustizia minorile coinvolgendo i ragazzi delle scuole e mettendoli a confronto con i ragazzi detenuti nell’istituto bolognese del Pratello.
All’interno di questo contesto, non si vuole lasciare fuori la voce dei cittadini. Per questo i dibattiti saranno alternati ad altri eventi, come la proiezione della videoinchiesta “Se dico ‘carcere’, cosa pensi?” che raccoglie le opinioni dei bolognesi intervistati sul tema (22 novembre, piazza del Nettuno). Oppure il 29 e il 30 novembre sarà visitabile in biblioteca Sala Borsa la mostra fotografica “Scene da un mondo chiuso al mondo” con scatti di Gianluca Perticoni e di Federico Borella dell’agenzia Eikon, mentre in chiusura della rassegna è previsto lo spettacolo teatrale “Il patto con il diavolo”. Realizzato dai giovani che partecipano al Teatro del Pratello, è un evento aperto al pubblico per partecipare al quale è necessario chiedere autorizzazione all’autorità giudiziaria scrivendo una mail all’indirizzo info@teatrodelpratello.it.
Scopo ultimo di “Fine pena: mai”, che annovera il patrocinio del Comune di Bologna e della Regione Emilia Romagna, oltre che del contributo di Alma Mater Studiorum, è quello di trovare – o iniziare a farlo – risposte a una serie di domande. Domande che partono da un assunto: “La pena perpetua non è solo l’ergastolo”, scrivono gli organizzatori, che aggiungono: “Di cosa parliamo, quando elenchiamo il numero dei suicidi in cella, se non di una pena che non finisce mai? Qual è il risultato di un sistema che non permette alcuna risocializzazione, fallendo il suo primo e più importante scopo? Come si può pensare che la pena finisca uscendo da quelle mura, se chi ne esce è quasi sempre destinato a rientrarci?”