Con l'aiuto degli amici di Dell'Utri, il petroliere Vekselberg rastrella decine di aziende e incassa fondi pubblici. Finiti i quattrini, le società muoiono. I creditori: "C'è un fiume di denaro inviato all'estero"
Una corsa agli armamenti. Così Igor Akhmerov, imprenditore russo, presidente dell’azienda svizzera Avelar Energy, definisce il business dell’energia rinnovabile. “In Italia il boom degli incentivi ormai è finito”, spiega in un’intervista al giornale moscovita Kommersant. “Per noi quel mercato ha esaurito il suo potenziale”. In queste poche parole è riassunto il senso di una storia che parte da Mosca e arriva ad Altamura, in provincia di Bari. Una storia in cui i vincitori sono gli oligarchi russi, mentre la grande perdente è la terra devastata del sud Italia. Scacco matto in tre semplici mosse: prometti grandi investimenti, prendi gli incentivi statali e scappa. Un mordi e fuggi non senza conseguenze: aziende fallite, impianti abbandonati e creditori con un pugno di mosche in mano.
Il grande affare del fotovoltaico
La vicenda segue un filo sottile che, attraverso un sistema di scatole cinesi, collega Mosca ai più sperduti Paesi del tavoliere pugliese e lucano. A monte di questo meccanismo si trova Renova Group, colosso dell’energia nelle mani di Viktor Vekselberg. Tra gli uomini più ricchi di Russia, risulta residente in Svizzera, ha fatto affari con l’inglese British Petroleum e tessuto una fitta rete di interessi in Italia. Vekselberg si avvicina al comparto italiano dell’energia rinnovabile nel lontano 2007, quando in un’intervista promette di investire nel settore 1 miliardo di dollari nell’arco di 5 anni. A curare il ramo delega Akhmerov, che con Avelar Energy entra prepotentemente tra le maglie del mercato italiano del fotovoltaico. La società presieduta da Akhmerov possiede, direttamente e attraverso la controllata Finmav, la maggioranza di Aiòn Renewables, fino a poco tempo fa azienda di primo piano in Italia nel mercato delle energie rinnovabili. Fin qui, tutto bene. Ma quali interessi possono avere questi soggetti russo-svizzeri nei confronti del fotovoltaico pugliese? La risposta è semplice. Il pannello solare in Italia è un business selvaggio. Il gestore dei servizi energetici (Gse), ente creato appositamente per distribuire finanziamenti per le energie rinnovabili, ha erogato per anni incentivi astronomici alle società titolari di impianti fotovoltaici. Il meccanismo si chiama Conto Energia: se produci energia solare, hai diritto ad aiuti statali per la durata di vent’anni. Secondo i dati dello stesso Gse, il totale degli incentivi riconosciuti agli impianti di tutta Italia, a settembre 2013, sfiorava quota 15 miliardi di euro. Tra le regioni della penisola primeggia proprio la Puglia, con 2,6 miliardi di fondi destinati al tacco d’Italia.
Un sistema per rastrellare incentivi
Gli incentivi non finiscono a chi costruisce gli impianti, ma a chi li possiede. E qui scatta il piano per rastrellare i finanziamenti statali. Secondo i registri della Camera di commercio di Matera, in Puglia e Basilicata è stato creato un esercito di un centinaio di società, denominate tutte En.Fo, Energia Fotovoltaica. Create tra febbraio e marzo 2010, senza molta fantasia, si chiamano En.Fo 1, En.Fo 2, En.Fo 3 e così via. Le quote di decine di queste En.Fo. e di altre società simili sono in pancia ad Aion e Aveleos, una joint venture tra Avelar e Enovos, l’Enel lussemburghese. Facile intuire dove finiscano gli aiuti statali e altrettanto facile intuire chi ci sia dietro alle altre società omonime. E se cento parchi fotovoltaici non sono abbastanza, basta comprarne altri. Una serie di impianti già esistenti in Puglia sono stati acquistati da soggetti riconducibili al sistema di scatole cinesi di cui sopra. Un esempio può chiarire quello che succede. “Aiòn ha comprato le quote di una società titolare di un impianto fotovoltaico e le ha rivendute poi ad Aveleos”, spiega Attilio Dibari, avvocato del foro di Trani. “Il 17 dicembre 2012, questa azienda ha effettuato pagamenti per circa 1 milione di euro verso un conto svizzero di Aiòn. Nessuna causale indicata”.
Che provenga dagli incentivi statali o meno, questa ingente somma di denaro vola oltre le Alpi, per accasarsi nelle banche elvetiche, in un giorno tutt’altro che casuale. L’indomani, infatti, Aiòn fa richiesta di concordato preventivo. In poche parole, l’azienda dichiara di non riuscire a fare fronte ai propri debiti e cerca un accordo con i creditori per evitare il fallimento. Ma l’operazione non riesce. A marzo 2013, il Tribunale di Reggio Emilia riscontra pagamenti non autorizzati nei confronti di società del gruppo, nega il concordato e impone il fallimento. Al momento del fallimento, Aiòn ha accumulato debiti per 245 milioni di euro nei confronti di 140 aziende. Ma se è vero quanto ha detto nell’’intervista del 16 marzo 2013 a Il Resto del Carlino Pier Angelo Masselli, ex titolare di Aiòn, la stessa Avelar ha contribuito a mettere nei guai i conti della controllata, indebitandosi con essa per oltre 60 milioni di euro. Eppure, secondo l’imprenditore, la società russo-svizzera possiede “oltre cento megawatt di impianti (fotovoltaici, ndr) acquistati con contributi statali”, che dovrebbero fruttare “non meno di 50 milioni all’anno” nell’arco dei prossimi vent’anni. Masselli sostiene che i campi siano stati acquistati a prezzi “non interessanti” per Aiòn.
Reazione a catena
Il fallimento di Aiòn è l’inizio di una reazione a catena che trascina nel baratro una serie di imprese e centinaia di lavoratori, dal Veneto alla Puglia. Pochi giorni dopo il default di Aiòn, dichiara fallimento anche Ecoware. A maggio 2013 è la volta di Helios Technology. Entrambe di Padova, entrambe controllate di Aiòn, il crac delle due aziende fa scattare la cassa integrazione straordinaria per 270 lavoratori. E non è finita. A luglio, è la Saem di Altamura a chiedere e ottenere il concordato preventivo. Altra controllata di Aiòn, si tratta di una delle più importanti aziende del Sud Italia nella realizzazione di impianti fotovoltaici, che si avvale del lavoro di diverse imprese del territorio in subappalto. A luglio 2013, nei confronti di questi soggetti, Saem ha accumulato debiti per 60 milioni di euro. Chiedendo il concordato, l’azienda si prefigge di restituire a queste imprese il 20% del dovuto. Ora le società creditrici dovranno scegliere se accettare o meno la proposta. “Chiuderò sicuramente il mio bilancio in perdita”, fa sapere il titolare di un’azienda esposta verso Saem per oltre un milione di euro. “Senza citare gli innumerevoli sforzi per pagare fornitori e dipendenti che nel frattempo ho dovuto dimezzare mio malgrado”. E conclude: “Rischiamo la totale chiusura”. Il già citato Attilio Dibari è un avvocato che rappresenta un gruppo di creditori della Saem. “Se si confrontano i dati societari di Saem, Aiòn, Finmav, Avelar e Aveleos, si può notare come le persone fisiche che amministrano dette società sono sempre le stesse”, spiega il legale. “Il tutto diventa a dir poco curioso se si scopre che gli stessi soggetti amministravano o amministrano tuttora anche le società agricole destinatarie degli impianti e dei generosissimi incentivi italiani per il fotovoltaico”. E così si torna alle già citate En.Fo. Il cerchio si chiude. Nonostante le ripetute richieste di chiarimenti, Igor Akhmerov, contattato da ilfattoquotidiano.it, non ha rilasciato alcun commento sulla vicenda.
Amicizie politiche e guai giudiziari
Negli organi societari di Avelar compaiono anche i nomi di faccendieri italiani con amicizie politiche. Tra questi c’è Marino Massimo De Caro, vicino all’ex senatore pidiellino e amico di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri. Ad Avelar De Caro lega non solo il presunto incarico di vice presidente esecutivo dell’azienda che avrebbe svolto dal 2007 al 2010 – secondo il suo curriculum sul sito del ministero dei Beni culturali – ma anche un’inchiesta giudiziaria dei pm di Firenze per corruzione aperta nel 2012.Tra l’aprile e il maggio del 2009, sul conto di Dell’Utri sono stati versati 409mila euro proprio da De Caro. Gli investigatori ipotizzano che il denaro, proveniente da un conto di Avelar a Cipro, fosse una tangente: Dell’Utri avrebbe favorito gli interessi dell’azienda nel progetto di un impianto fotovoltaico in Sicilia. Il registro di commercio del canton Zurigo svela però la presenza nel cda aziendale anche di un altro faccendiere, il pugliese Roberto De Santis, amico di Massimo D’Alema ma anche di Giampaolo Tarantini, fornitore di escort per i festini di Silvio Berlusconi. E come non sono chiari i rapporti tra l’azienda russa e la politica italiana, altrettanto incerta è la sorte delle imponenti strutture di silicio presenti sul territorio pugliese. La legge ha previsto l’obbligo di smaltire i pannelli solari, una volta che non saranno più funzionanti, solo per gli impianti costruiti con il Quarto e il Quinto Conto Energia, cioè a partire da giugno 2011. E tutti gli altri? “Se non cambia la normativa, rimarranno sul groppone dei proprietari. Che, però, non sono obbligati a smaltirli”, spiega Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente. E se la proprietà fallisce, la conseguenza è chiara: “Rischiano di diventare dei siti orfani, abbandonati a se stessi”.