Carissimi colleghi,
ieri ho letto per l’ennesima volta, su una delle tante nostre mailing list, il mantra secondo cui gran parte dei problemi che affliggono l’università derivano in buona sostanza da ministri incapaci: niente di più.
Ecco: ho deciso di scrivervi per dirvi che è proprio questo l’errore capitale che commettiamo. Crediamo che la politica annaspi ed improvvisi, che sia fatta da incompetenti e dilettanti. Alcuni lo dicono in buona fede, altri in modo strumentale; ma il dibattito ogni volta si arena su questo scoglio: con dei ministri non capiscono niente, che possiamo fare?
Io invece mi chiedo e vi chiedo: come è possibile continuare a crederlo? Una mole ormai sterminata di fatti e di dati mostra un chiaro, coerente e pluriennale disegno che punta ad un’università ridotta all’osso, che concentra il potere nelle mani dei peggiori baroni, che seleziona ed esclude in ogni modo gli studenti, che insiste sulle materie “tecniche” trascurando pensiero critico e ampiezza di vedute, che solleva le imprese dai costi dei corsi di formazione al lavoro; un’università la cui ricerca va a beneficio di privati e non del bene pubblico.
I ministri che si sono succeduti negli ultimi anni hanno avuto tutti quanti come obiettivo questo nuovo tipo di università, e lo hanno portato avanti in ogni modo. Hanno fatto un enorme lavoro e notevoli progressi su questa strada, vincendo resistenze ed imponendo epocali cambi di mentalità e di procedure: eppure il mito degli “incompetenti” prevale. Non riusciamo a credere che, semplicemente, l’obiettivo dei ministri non è quello di far funzionare l’università nell’interesse della società, ma di farla funzionare nell’interesse dei privati più ricchi.
C’è da chiedersi perché un corpo di docenti, che dovrebbe essere abituato a capire e ragionare sul mondo possa fare delle affermazioni così pateticamente fuori bersaglio. Secondo me i motivi sono almeno due.
Uno è che alcuni hanno una prospettiva talmente ristretta sul loro ombelico che hanno più che altro bisogno di riconfermare a se stessi la loro superiorità intellettuale. A loro basta compiacersi beati del fatto che loro al Miur avrebbero saputo fare di meglio, anche se sono talmente ingenui da non capire qual è il vero fine del Miur.
Ma un altro motivo, ben più diffuso, è un ottimismo irrazionale che fa la sua comparsa proprio quando tutto va a rotoli. Pur di non rinunciare al proprio modo di essere, pur di non accettare che il futuro sarà nerissimo, pur di non portare a livello cosciente i sensi di colpa per la propria inerzia, tanti universitari preferiscono chiudere gli occhi e sperare nell’impossibile. Pensate alle speranze suscitate da Profumo: il panorama politico italiano non faceva che peggiorare, eppure tantissimi, contro ogni evidenza, esprimevano ottimismo o addirittura fiducia nelle competenze del nuovo ministro…e la scottatura con Profumo non ha impedito una incredibile ricaduta con Carrozza!
Niente di nuovo o di incomprensibile, per carità. Anche i deportati nei lager, nonostante conoscessero la violenza manifesta dell’ideologia nazista, venivano tenuti tranquilli dicendo loro che sarebbero stato portati in bei campi di lavoro puliti e che sarebbero stati ben vestiti e ben nutriti…e alcuni ci credettero, al punto che ci furono persone che si presentarono spontaneamente per essere internate nei lager.
Però è altrettanto vero che fino a quando non cadrà questa comoda nebbia che ci conforta in una vacua superiorità e che ci confina ad un supino e speranzoso immobilismo, la situazione continuerà ad affondare ogni giorno di più: già all’orizzonte si profila l’ennesima riforma a costo zero, targata Carrozza. Ed è proprio il mondo universitario che ha la possibilità e la responsabilità primaria di prendere parola e ricucire i fili del discorso, per recuperare il vero significato della nostra professione e della responsabilità verso la società in cui agiamo, al di là di pur interessantissime discussioni sulle abilitazioni nazionali, sul metodo scientifico e sulla chimera della meritocrazia “buona”.
Se questa presa di coscienza non avverrà, fra qualche anno dell’università italiana rimarrà solo una piccola ma eccellentissima torre di liscissimo avorio, in cui pochi “meritevoli” adepti verranno ad apprendere gli strumenti del dominio, in mezzo alla desolazione di un’intera cittadinanza privata della facoltà di capire quello che le succede. E la colpa sarà anche, e molto, di tutti noi.
Un caro saluto,
Alessandro Ferretti