Il prefetto Giuseppe Caruso è il direttore dell’agenzia nazionale dei beni confiscati. Racconta al fattoquotidiano.it la sua esperienza, dal 2011, alla guida della struttura che ha il compito di amministrare e destinare la ‘roba’ sottratta alle organizzazioni criminali. In particolare la volontà di cambiare passo, snellire le pratiche e ‘suggerire’ miglioramenti normativi per evitare paradossi e vuoti a perdere.
I beni confiscati sono l’oro dello stato sia in termini economici che simbolici. L’Agenzia nazionale è in affitto e paga annualmente 295mila di euro all’anno. E’ il segno del fallimento?
Non posso rispondere per via dei Prefetti, nostra attuale sede, scelta precedente al mio arrivo. Mi sono attivato fin da subito per reperire un’altra sede. Abbiamo individuato in via Ezio la nostra nuova casa, due appartamenti confiscati in via definitiva. Immobili, che come l’85% dei beni, sono afflitti da criticità o occupazioni abusive. Abbiamo sanato la situazione penando le classiche ‘sette camice’, abbiamo cacciato un avvocato che occupava abusivamente gli appartamenti. Abbiamo dovuto togliere un centro benessere e con atto formale di diffida fatto rimuovere le attrezzature. Non solo. Abbiamo dovuto, per motivi di trasparenza, interpellare il provveditorato alle opere pubbliche che sta sbrigando le pratiche burocratiche e sta individuando la ditta per completare i lavori. Ho disdetto il contratto in essere che ci costa 1000 euro al giorno, l’anno prossimo dovremmo trasferirci.
Nella nostra inchiesta è emerso di tutto. In primis che alcuni beni destinati, all’esito dell’iter giudiziario, non vengono realmente utilizzati. Un lavoro inutile per lo Stato?
Ho notato che tra i beni destinati, in passato, molti non sono più utilizzati perché gravati da mille problemi. Da quando siamo arrivati noi destiniamo il bene solo se pulito, senza criticità. Non solo. Stiamo facendo una ricognizione faticosa per richiedere se i beni che sono stati destinati risultano assegnati secondo lo spirito del provvedimento di destinazione. La legge mi impone entro un anno dalla destinazione di verificare l’esito positivo altrimenti emetto un provvedimento di revoca e il bene torna in nostro possesso.
Lei ricordava i numeri. L’85% dei beni è occupato o afflitto da altre criticità, buona parte delle aziende fallisce dopo la confisca. La guerra sembra persa.
Io dico che la stiamo vincendo. A fronte dei problemi, negli ultimi mesi stiamo destinando molti beni soprattutto nel sud perché finalmente sciogliamo nodi che avevamo individuato per i quali occorrono tempi. Prima della legge di stabilità era complicato eliminare le ipoteche, ora è più semplice. E’ una battaglia da vincere.
Un altro problema. Anche a Roma ci sono diversi beni confiscati, occupati dai familiari. Cosa bisogna fare?
Parlo da poliziotto, c’è una sola soluzione. Bisogna sgomberare e presto.
C’è un altro immobile, documento nella nostra inchiesta, che è il manifesto di spreco. Un bene indivisibile, un terzo dello stato, gli altri due terzi della famiglia. Perché non venderlo, visto che lo stato paga anche il condominio e non potrà mai assegnarlo?
Il primo emendamento che ho richiesto è quello che io possa vendere, in via residuale, il bene. Se un bene non lo vogliono gli enti locali e neanche l’agenzia del demanio, che me ne faccio? A Napoli c’è un magazzino piccolo che vale quanto pesa. E’ all’interno di un ristorante dove il ristoratore, persona perbene, è interessato all’acquisto, ma non lo posso vendere. Mi lasci dire una cosa. Nel caso di Napoli mi sento cornuto perché con le mani legate. Con l’esempio che lei mi sottopone, mi sento anche mazziato perché, non solo non posso vendere, ma le spese condominiali le deve pagare lo stato. Cornuto e mazziato, non io, ma le istituzioni che rappresento.