Un sovversivo si aggira tra di noi rischiando di compromettere il nostro elaborato sistema politico-sociale. Noncurante della complessità che il nostro sistema a ‘bastoncini di Shangai’ porta con sé e di quale fatica improba comporti per i nostri potenti raccogliere un bastoncino senza muoverne nessun altro, quel caterpillar di Papa Francesco si azzarda a dichiarare che la dea tangente toglie dignità e che la corruzione porta dipendenza.
Ma ciò che più colpisce dell’intervento pontificio è la parabola da cui esso prende spunto: la parabola dell’amministratore disonesto. La storia racconta di un amministratore che, accusato di sperperarne il denaro, viene licenziato dal ricchissimo uomo per cui lavora; a quel punto, non avendo voglia di cercarsi altri lavori, l’amministratore chiama i debitori del suo ex padrone e suggerisce loro di decurtarsi parte del debito dalle ricevute, affinché essi abbiano nei suoi confronti un legame di riconoscenza ed esso possa beneficiarne in caso di necessità. Sostanzialmente quello che l’amministratore fa non è altro che tutelarsi dal disvelamento di una frode con un’ulteriore frode. E’ qui che arriva la parte più interessante: “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza”.
Questo verso mette a nudo la dinamica attraverso cui il potere alimenta se stesso: coloro che compongono la ristretta cerchia della casta si supportano l’un l’altro e proteggono reciprocamente il loro agire in virtù dell’immedesimazione. Il padrone si compiace di riconoscere nell’amministratore la sua stessa malizia, la capacità di agire subdolamente al fine di mantenere un privilegio; è possibile che i due entrino in conflitto, ma il conforto di potersi specchiare l’uno nell’altro crea tra loro un legame inscindibile, una collusività omertosa fondata sul meccanismo dell’identificazione.