Con sentenza del 6 Novembre 2013, il tribunale del lavoro di Palermo ha trasmesso alla Corte Costituzionale gli atti di una causa intentata contro l’Inps da un pensionato che chiedeva fosse dichiarata l’illegittimità del blocco della indicizzazione delle pensioni legiferata dal governo Monti. Il tribunale di Palermo vede nella legge la violazione degli articoli 3, 36,38 e 53 della Costituzione precisando tra l’altro che la mancata rivalutazione viola il principio di proporzionalità tra pensione (che costituisce il prolungamento in pensione della retribuzione goduta in costanza di lavoro) e retribuzione goduta durante l’attività lavorativa”, che “la mancata rivalutazione, violando il principio di proporzionalità tra pensione e retribuzione e quello di adeguatezza della prestazione previdenziale, altera il principio di eguaglianza e ragionevolezza, causando una irrazionale discriminazione in danno della categoria dei pensionati” e che “indipendentemente dal nomen iuris utilizzato, la misura adottata si configura quale prestazione patrimoniale di natura sostanzialmente tributaria, in quanto doverosa, non connessa all’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra le parti (poiché lo Stato non ha alcun titolo a modificare i trattamenti economici di cui non è parte), collegata esclusivamente alla pubblica spesa in relazione a un presupposto economicamente rilevante”.

In buona sostanza, la sentenza del tribunale di Palermo afferma quanto più volte sottolineato da più parti e che è stato bellamente ignorato anche dal presente Governo il quale si ripropone, nell’ambito del suo Dpef, di perseverare nella deindicizzazione delle pensioni da un certo importo in su. Ho già sottolineato varie volte come le proposizioni del Sottosegretario al lavoro, Carlo dell’Aringa, che riteneva di poter evitare il filtro della Corte Costituzionale che già bocciò i prelievi di solidarietà, lavorando sulle deindicizzazioni, mi sembrassero un sotterfugio deprecabile e poi ho cercato di spiegare a Renzi come l’intervento sulle sole pensioni, a parità di reddito mi sembrava essere discriminatorio; ovviamente ho ricevuto solo risposte populiste o nessuna risposta; ora però lo scenario potrebbe cambiare.

Se infatti la Corte Costituzionale vedesse nelle misure del governo Monti e in quelle del presente governo delle violazioni agli articoli della Costituzione, così come le vede il tribunale di Palermo, l’Inps dovrebbe restituire i ratei di indicizzazione espropriati; questo, oltre a costituire una tirata d’orecchi severa per i politici che imperterriti marciano seguendo solo il loro preconcetto ( ma i nostri politici hanno dato mostra di non vergognarsi mai di niente), aprirebbe un buchetto nelle finanze di un futuro Governo che si troverebbe a ereditare un debito contratto (a questo punto consapevolmente) da governi precedenti, ancorché un debito di ammontare non particolarmente significativo nell’enorme mare del debito pubblico che da un lato viene alimentato dal fiume in piena di una spesa che i governi si guardano bene dal controllare mentre dall’altro si cerca di ridurlo usando il cucchiaino delle deindicizzazioni o, anche peggio, l’idrovora delle riforme continue del sistema pensionistico, senza scorporarne l’assistenza. In realtà, nella mia polemica con Renzi e con i massimalisti del web e dei governi ho cercato di spiegare come fosse forse possibile evitare la facile accusa di discriminazione tra pensionati e altri redditi, purché ci si mantenesse con le motivazioni, all’interno del sistema pensionistico e si ragionasse in termini previdenziali.

Infatti il prelievo di solidarietà e la deindicizzazione, se applicati in nome di una necessità dei conti dello Stato o di un riequilibrio previdenziale non ben circostanziato, fanno acqua da tutte le parti; nel primo caso perché appunto chiamano a contribuire al risanamento economico solo i pensionati e non tutti i cittadini secondo le proprie possibilità, nel secondo perché, nell’affermare che alcune pensioni sono sovradimensionate rispetto alla contribuzione, mancano di omogeneità (non solo molte pensioni elevate sono sovradimensionate, ma la quasi totalità di quelle medio/basse) e di aggancio al criterio contributivo, non volendo sporcarsi le mani con la valutazione (doverosa) della corrispondenza tra rendite e contributi per poi intervenire in modo selettivo. Il mio sprovveduto e umile suggerimento era che si prelevassero risorse in modo uguale su redditi uguali indipendentemente dalla loro natura pensionistica o meno, in questo modo eliminando qualsiasi sospetto di discriminazione anticostituzionale oppure che si rimanesse pure all’interno del solo “universo pensionati” ma che in tal caso si dovesse avere un ancoraggio certo al principio Contributi = Prestazione.

Qualcuno dirà: allora lei vorrebbe toccare anche le pensioni basse! (aggiungendo qualche insulto gratuito). Prevengo rispondendo: no, toglierei loro dal sistema previdenziale ma, a saldo zero, restituirei, per quelle basse, attraverso un sistema assistenziale (finanziato dalla fiscalità generale e cioè da tutti e non solo da altri pensionati) un eguale importo. Fino a ora il mio sprovveduto e umile suggerimento ha incontrato feroci critiche populiste e qualche sorrisetto da parte di chi tanto va avanti per la sua strada; vedremo cosa ci porterà il futuro. Se la Corte Costituzionale sposerà le tesi del tribunale di Palermo lo scenario cambierà radicalmente.Vedremo allora, eventualmente, cosa si inventeranno i politici che oggi vanno avanti testardamente su una strada incerta, per evitare di fare pubblica ammenda, materia con la quale hanno proprio poca dimestichezza.

 

 



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