“In una splendida mattina di maggio ho agito e in quelle poche ore ho goduto a pieno della vita. Per una volta mi sono lasciato alle spalle paura e autogiustificazioni e ho sfidato l’ignoto. In una Europa costellata di centrali nucleari, uno dei maggiori responsabili del disastro nucleare che verrà è caduto ai miei piedi”. E’ il 30 ottobre 2013, quando Alfredo Cospito, uno dei due anarchici torinesi di area informale che il 7 maggio 2013 nella città di Genova hanno sparato a Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo-Finmeccanica, inizia così una lunga lettera in cui espone i motivi della sua azione, il suo stato d’animo e l’intera dinamica dell’azione di fuoco. Parole che solo in parte Cospito ha ribadito in aula. Il documento completo, invece, gira in Rete su alcuni blog legati all’area dell’anarco-insurrezionalismo. Il 12 novembre 2013 Alfredo Cospito e Nicola Gai sono stati condannati rispettivamente a 10 anni e 8 mesi di reclusione e a 9 anni e 4 mesi per quell’attentato eseguito “con finalità terroristiche”. Questa la conclusione del giudice per le indagini preliminari Annalisa Giacalone.

Va detto, poi, che l’inchiesta della procura di Genova non è ancora chiusa. Sul tavolo, infatti, c’è l’obiettivo di capire se la cellula Olga non sia solo un tassello su uno scacchiere più vasto e ancora in grado di colpire. Un dato importante visto che Cospito, colui che ha materialmente sparato ad Adinolfi, ha più volte rivendicato l’intera paternità dell’azione. “Voglio essere molto chiaro: il nucleo Olga Fai/Fri siamo solo io e Nicola. Nessun’altro ha partecipato, collaborato, progettato tale azione; nessuno era a conoscenza del nostro progetto”

Quindi le prime annotazioni personali: “Vivo la mia anarchia con naturalezza, gioia, piacere, senza alcuno spirito di martirio, opponendo tutto me stesso a questo esistente civilizzato che mi è insopportabile. Sono antisociale perché convinto che la società esiste solo sotto il segno della divisione tra dominanti e dominati”. E ancora: “Con tutte le mie forze disprezzo i potenti della terra, siano essi politici, scienziati, tecnocrati, capipopolo, leader di ogni risma, burocrati, capi militari e religiosi”.

Cospito, quindi, torna ai giorni della primavera 2013, quando, poco dopo le otto di mattina, i due anarchici sparano al dirigente Ansaldo appena uscito di casa: ” Quel sette maggio del 2012 per un momento ho gettato sabbia nell’ingranaggio di questa megamacchina, per un momento ho vissuto a pieno facendo la differenza. Quel giorno non ero una vecchia Tokaref (Tokarev, pistola di fabbricazione russa, ndr), la mia arma migliore, ma l’odio profondo, feroce che provo contro la società tecno-industriale“.

Ma perché colpire un dirigente dell’Ansaldo di Genova? Cospito lo spiega nella sua lettera: “Decisi di passare all’azione dopo il disastro nucleare di Fukushima. Davanti a fatti così grossi troppo spesso ci si sente inadeguati”. Quindi il dito puntato contro l’amministratore delegato. “Adinolfi lo abbiamo visto sorridere sornione dagli schermi televisivi atteggiandosi a vittima. Lo abbiamo visto dare lezioni nelle scuole contro il “terrorismo”. Ma io mi chiedo cos’è il terrorismo? Un colpo sparato, un dolore intenso, una ferita aperta o la minaccia incessante continua, di una morte lenta che ti divora da dentro. Il terrore continuo, incessante, che una delle sue centrali nucleari ci vomiti addosso da un momento all’altro morte e desolazione” perché “l’Ansaldo Nucleare e Finmeccanica hanno enormi responsabilità. I loro progetti continuano a seminare morte dappertutto, ultimamente si parla di possibili investimenti nel raddoppio della centrale di Kryko in Slovenia a due passi dall’Italia, zona a grande rischio sismico”.

La scelta dell’obiettivo e la dinamica dell’azione stanno tutte in poche righe di questa impressionante lettera. Scrive Cospito: “A me venne in mente di colpire il maggiore responsabile di questo scempio in Italia: Roberto Adinolfi amministratore delegato di Ansaldo Nucleare. Ci volle poco a scoprire dove abitava, cinque appostamenti bastavano. Non c’è bisogno di una struttura militare, di un’associazione sovversiva o di una banda armata per colpire, chiunque, armato di una salda volontà può pensare l’impensabile e agire di conseguenza”.

Cospito ha dunque tutto chiaro in mente. Solo non può fare tutto da solo. Gli serve un complice che possa guidare il motorino.  Spiega: “Avrei fatto tutto da solo, sfortunatamente avevo bisogno di aiuto per la moto; chiesi a Nicola, feci appello alla sua amicizia, non si tirò indietro. La pistola la comprai al mercato nero, trecento euro. Non servono infrastrutture clandestine o grandi capitali per armarsi. Partimmo in auto da Torino la notte prima. Tutto filò liscio o quasi, Nicola alla guida, io colpii esattamente dove avevamo deciso di colpire. Un colpo preciso”.

Poi quelle frasi “urlate con rabbia”. Sono di Adinolfi: “Bastardi so chi vi manda!”. Per Cospito la conferma “di aver colpito nel segno, pienamente cosciente del letamaio in cui avevo messo le mani; interessi milionari, finanzia internazionale, la politica e il potere, fango e letame”. Eppure quelle urla se da un lato confermano dall’altro distraggono il commando di fuoco. Bastano pochi secondi e Adinolfi riesce a leggere parte del numero di targa del morotino. “Grazie a quei numeri risalirono alla moto e dalla moto alla telecamera”. La  telecamera di cui parla Nicola Gai in un’altra lettera: “Non ci siamo accorti di una telecamerina piazzata dallo zelante padrone di un bar a protezione dei suoi tramezzini. Purtroppo, per noi, non l’abbiamo vista mentre studiavamo il percorso che dal punto in cui abbiamo lasciato il motorino portava alla fermata dei bus che, dopo un cambio, ci avrebbero portato alla periferia della città nella direzione di Arenzano, dove era parcheggiata la mia macchina utilizzata per raggiungere e lasciare Genova”.

Ecco, alla fine, le conclusioni di Cospito: “Sono felice di essere quel che sono, un uomo libero, anche se momentaneamente in catene. Non posso lamentarmi più di tanto visto che la stragrande maggioranza della gente le catene le ha ben piantate nel cervello”. Immancabili i saluti finali: “Morte alla civilizzazione. Morte alla società tecnologica. Lunga vita alla FAI/FRI. Viva l’internazionale nera! Viva l’anarchia!!”

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