Il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha diffuso sul proprio sito la short list delle città che hanno superato la pre-selezione nella gara per ottenere il titolo europeo
Ravenna è in finale. C’è anche il nome della città dei mosaici nella short list che il Mibact, il ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, ha diffuso sul proprio sito indicando le città che hanno passato la pre-selezione nella gara per diventare capitale europea della cultura nel 2019.
Ravenna ci crede dal 2007, da quando ha mosso i primi passi per la candidatura, e ci ha creduto a maggior ragione dopo la buona audizione sostenuta giovedì 14 novembre al ministero di fronte alla commissione d’esame del 2019 a presidenza Ue. Tra le 21 aspiranti “capitali” che avevano presentato domanda (la consegna dei singoli dossier è avvenuta il 20 settembre scorso) la giuria ha spedito verso il rush finale solo sei città (in ordine rigorosamente alfabetico): Cagliari, Lecce, Matera, Perugia-Assisi, Ravenna, Siena. Ci sono come previsto grandi esclusi, da Venezia (col nord-est), che aveva già ritirato la candidatura per poi ripensarci all’ultimo, a Bergamo, con la sua super consulente Federica Olivares che evidentemente non è bastata, passando per Urbino, mentre Cagliari è la vera sorpresa (ha lavorato alla candidatura solo negli ultimi mesi).
La sfida entra ora nel vivo, anche con sopralluoghi nelle singole città da parte dei giurati i quali nomineranno la capitale del 2019 solo tra un anno (l’Italia tra sei anni esprimerà una candidatura in coppia con la Bulgaria, l’aveva già espressa nel 1986 con Firenze, nel 2000 con Bologna e nel 2004 con Genova, e tornerà ad esprimerla nel 2033). In palio l’Europa mette un milione e mezzo di euro, ma più che altro chi vincerà potrà dare forma e gambe agli investimenti milionari privati e pubblici (rigenerazione urbana, archeologia industriale, centri storici, contenitori culturali i macro-capitoli) al momento messi solo nero su bianco nei singoli dossier di candidatura.
Per Ravenna tutto ruoterà intorno alla riqualificazione del vecchio porto alla darsena, che in caso di vittoria verrà sottoposta a un deciso restyling con maggiori chance di successo nel medio periodo. Al momento, però, in Romagna si pensa solo a festeggiare. A poche ore dal responso della giuria, il sindaco Fabrizio Matteucci (Pd) sembrava tradire un po’ di ansia: “Se dovessimo essere fuori, siccome io ho deciso che dovevamo fare nostra questa sfida, io me ne assumerò la piena responsabilità, come è giusto che faccia il sindaco e come faccio ogni giorno, nella buona e nella cattiva sorte”, aveva detto. Poi, attorno alle 18, è arrivata la fumata bianca da Roma: “Da lunedì riprenderemo a lavorare pancia a terra e tutti uniti per vincere anche la ‘finalissima’. Ma credo che in queste ore Ravenna possa far festa”, esulta in queste ore il primo cittadino dando l’appuntamento in Comune per domani alle 15.30 ad una conferenza stampa che, dice Matteucci, “sarà un po’ conferenza e un po’ festa”.
Ha già stappato una bottiglia il governatore Vasco Errani, conterraneo del sindaco, che in questi mesi ci ha messo la faccia sul 2019: “Questo primo, importante riconoscimento è un passo fondamentale nell’avvicinamento di Ravenna a un obiettivo che è quello di tutta la regione”, dice il presidente chiarendo che in viale Aldo Moro sono tutti “fiduciosi rispetto all’esito finale delle selezioni”. Se i romagnoli (Ravenna2019 è una candidatura sostenuta anche dalle altre città del territorio) stanno lavorando sodo non da oggi, negli ultimi mesi c’era stato più di qualche motivo di apprensione. Da più parti, anche dietro le quinte, si era diffuso un certo scetticismo sul carattere delle iniziative ravennati in chiave 2019, sempre appassionate (tra open-call, discussioni “Agorà”, concerti e ritrovi di associazioni) ma considerate spesso un po’ fai da te. Ebbene, alla fine una certa ‘genuinità’ sembra avere premiato di fronte ai commissari.
In agosto, sul “Venerdì di Repubblica” era stato un servizio di Leonardo Coen a segnalare che Ravenna “ha speso sinora novecentomila euro, ma ha raccolto polemiche per le iniziative ‘troppo provinciali’ e per il fatto che non rientra nelle 18 città italiane più visitate dai turisti”. Erano seguite smentite sdegnate da parte dello staff ravennate, che sui costi tuttavia ha dovuto fare i conti con l’opinione pubblica sempre e sempre li farà. I 900 mila euro spesi finora, ha chiarito il coordinatore di Ravenna2019 Alberto Cassani, ex assessore alla Cultura e fra l’altro nome accreditato per succedere a Matteucci come sindaco nel 2016, rappresentano l’importo che è servito per quasi tre anni di lavoro ed è di molto inferiore alla spesa delle concorrenti.
Poi era stata la volta dell’Aquila, altra esclusa dal verdetto di queste ore, i cui responsabili 2019 avevano detto che “il centro di Ravenna, a parte quattro strepitose eccellenze, non vale quello di Paganica”. Un scatto d’orgoglio, invece, lo ha generato un servizio uscito via web sul “New York Times” alla vigilia del responso della commissione giudicatrice: in un reportage firmato da Elisabetta Povoledo e intitolato “Le città italiane gareggiano per lo status di capitale”, di Ravenna non sono mancate citazioni.
Sta di fatto che, passata la pre-selezione, bisognerà tornare subito a fare sul serio. Non avranno più scuse le associazioni di categoria che finora hanno scucito poche decine di migliaia di euro per sostenere la Ravenna europea: in questo senso, per Cassani e compagnia suonano un po’ meglio le parole del presidente di Confindustria Guido Ottolenghi, che al dossier del 2019 in realtà ha lavorato e che, appreso del primo step superato, ha applaudito il “lungo lavoro di preparazione e partecipazione messo in campo dal team”. Dalle casse pubbliche, invece, sono usciti finora molti più soldi: i ricavi si aggirano sui 330 mila euro, il disavanzo sulle casse del Comune supera i 140 mila. Ora servirà pompare nuova energia al comitato promotore se davvero si vuole arrivare in fondo: serviranno nuove risorse, uno staff di promozione e comunicazione più specializzato, spazi e dotazioni strutturali adeguate. Perché, in fondo, forse investire nella cultura è utile davvero.