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Spagna, fine degli aiuti Ue alle banche. Salvataggio sarà pagato dai contribuenti

Buona parte dei 41,4 miliardi iniettati negli istituti di credito andranno perduti per sempre. Poco contano le promesse del ministro dell'Economia, che aveva rassicurato: "Non sarà perso neanche un euro"

La Spagna comincia a voltar pagina. I soci europei hanno proclamato ufficialmente la fine del piano di aiuti, per risanare i conti in rosso delle entità bancarie a inizio gennaio. Insomma da una parte luce verde al ripristino del pieno controllo economico nazionale, dall’altra stop al programma di assistenza finanziaria che il governo spagnolo era stato costretto a chiedere nel giugno 2012. Ma dei 41,4 miliardi utilizzati tramite il Fondo de restructuración ordenada bancaria (Frob), creato dallo Stato e poi canalizzato a banche per la loro ricapitalizzazione e ad una bad bank, buona parte andrà perduto per sempre.

In barba alle promesse del ministro dell’Economia, Luis de Guindos, che proprio nel 2012 aveva detto chiaro e tondo che “i contribuenti non ci rimetteranno neppure un euro”, oggi nessuno dubita più sul fatto che l’ingente fattura presentata dall’Ue sarà tutta o quasi a carico dei cittadini iberici. Non è possibile ancora quantificare il dato e capire quanti dei 41,4 miliardi messi da Bruxelles (oltre i 14,4 aggiunti dallo Stato) andranno persi per sempre perché ancora mancano i conti definitivi: Bankia, Novagalicia Banco e Catalunya Banc sono in mano allo Stato e non si capisce se la Sareb, la banca “cattiva” iberica, avrà bisogno di altre iniezioni di liquidità per portare a termine la serie di operazioni di vendita. In ogni caso e secondo i calcoli premilitari dello stesso Frob, la maggior parte del capitale utilizzato è già a fondo perduto, circa 36 miliardi di euro.

Nel frattempo a Madrid sono scomparse decine di casse di risparmio, centinaia di migliaia di correntisti che avevano investito nelle cosiddette participaciones preferentes (pacchetti azionari combinati dalla banca ad alto rischio) hanno perso i loro soldi e l’economia iberica si è vista sottomessa a una stretta tutela da parte dei soci dell’Eurozona, che hanno obbligato a pesanti tagli alla spesa pubblica. “Una presa in giro”, sostenevano già l’anno scorso molti spagnoli scesi in piazza, perché a pagare le perdite dovute alle speculazioni del sistema bancario saranno ancora una volta i cittadini. E gli effetti erano già dietro l’angolo: il rincaro dell’Iva, tagli ai salari dei funzionari statali e notevoli sforbiciate a settori come Sanità ed Educazione. Un prestito a perdere. Ma non era certo solo una percezione dei cittadini.

José Carlos Díez, professore di economia all’Icade business school di Madrid, lo ha spiegato senza mezzi termini: “Oggi festeggiamo il successo del salvataggio e vogliamo farci belli per la fotografia che verrà scattata alle elezioni europee. Ma la foto sarà cara. La crisi bancaria degli anni Settanta costò ai contribuenti circa il 12 per cento del Pil. Quella attuale è peggiore, e finora calcoliamo solo un costo pari al 6 per cento del Pil. Ma fino alla fine, non sapremo quanto ci sarà costata. Non è ancora finita”.

Tant’è che proprio stamattina la Commissione europea ha bacchettato il governo di Mariano Rajoy chiedendo tagli aggiuntivi – fra lo 0,1 per cento e lo 0,3 per cento del Pil – pari a una somma fra uno e tre miliardi di euro, per garantire l’obiettivo di riduzione del deficit al 5,8 fissato da Bruxelles. Insomma i doveri del governo non stanno per concludersi. Anzi. Chiuso il programma di aiuti a gennaio, Jeoren Dijsselbloem, presidente dell’Eurogruppo, ha già fatto sapere che manterrà la supervisione sul Paese iberico, con almeno due revisioni annuali.

Twitter @si_ragu