"L'unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa - fa sapere il leader di Sel -. La confidenza nelle telefonate con il mio interlocutore ... era normale perché era una confidenza legata a raggiungere degli obiettivi: per me difendere i posti di lavoro"
“L’unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa”. Il giorno successivo alla diffusione della telefonata con Girolamo Archinà (e delle risate per lo “scatto felino” del pr dei Riva, ora agli arresti domiciliari), per Nichi Vendola è quello del mea culpa. Che arriva su Twitter e in un’intervista a Repubblica (non sul Fatto Quotidiano, che invece vuole querelare per diffamazione). Le scuse sono solo per aver riso del giornalista, senza considerare le domande che quel giornalista aveva rivolto a Emilio Riva: spiegazioni sui tumori che uccidono i tarantini.
Sul quotidiano di Largo Fochetti, tuttavia, il pensiero del governatore pugliese non è ‘costretto’ nei 140 caratteri del social network. E’ un’intervista articolata, in cui il leader di Sel risponde puntualmente alle questioni poste dal cronista. Dopo aver sottolineato ancora una volta che non stava ridendo dei tumori ma dell’atteggiamento di Archinà, successivamente Vendola prova a difendersi. Chiedendo scusa. “Provo un po’ di vergogna per aver riso in qualche modo di un giornalista che stava facendo il suo lavoro” ha detto il presidente pugliese, che poi, sull’accenno alla Fiom come “migliore alleato dell’Ilva”, ha provato a spiegare, sottolineando di aver invitato Archinà “ad avere relazioni industriali proprio con chi, in quel momento, loro ritenevano essere il nemico numero uno, quelli cioè con cui era in conflitto”.
Il cronista, tuttavia, gli fa notare che l’ex responsabile della comunicazione e dei rapporti istituzionali dell’Ilva è coinvolto pesantemente nell’inchiesta sul disastro ambientale. Vendola risponde così: “Ci sono a suo carico indizi molto gravi. Con il senno di poi, non posso che rammaricarmi. Sfido chiunque a ripensare a tutte le telefonate, pure quelle confidenziali, avute con le persone che successivamente rivelate essere differenti”.
“La confidenza nelle telefonate con il mio interlocutore, che era il responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva, l’ambasciatore della proprietà, era normale perché era una confidenza legata a raggiungere degli obiettivi: per me difendere i posti di lavoro non è una cosa di cui debba vergognarmi” ha poi aggiunto il leader di Sel parlando con i giornalisti al termine del vertice di maggioranza a Bari. “Sono orgoglioso – ha detto il governatore – di aver difeso ogni giorno ogni singolo posto di lavoro cercando di porre tutte le aziende davanti al loro dovere di ‘ambientalizzare’ gli impianti”.
Ai giornalisti che gli chiedevano se fosse pentito di aver fatto quella telefonata, Vendola ha replicato che “ciascuno di noi fa migliaia di telefonate. Il contesto di quella telefonata è quello molto complesso di una stagione in cui dobbiamo provare a spingere l’Ilva sulla strada dell’ambientalizzazione, e il tema di cui discutiamo è il benzo(a)pirene, particolarmente importante su cui noi – ha spiegato Vendola – vogliamo guadagnare dei risultati senza ledere il diritto al lavoro, senza che venga compromessa la questione fondamentale di una città come Taranto, il lavoro. Molti dimenticano che campano dall’Ilva direttamente 20mila famiglie e quello per me è un chiodo fisso”.
Il giorno dopo le polemiche e la bufera mediatica il governatore tenta di spiegare: “Con Archinà sto cercando d’indorare la pillola, di riprendere i contatti, perché quello che mi interessa in quel momento sono le centinaia di lavoratori somministrati, a rischio di perdita del posto, e poi la legge su benzo(a)pirene. Queste sono le cose che mi interessano. Perché avrei dovuto invece vendere la mia anima a Riva? Ho avuto in cambio dei gioielli, dei diamanti, uno yacht, un grattacielo: non ho avuto niente, non c’è neanche un finanziamento lecito che mi riguardi. Quindi, quale era il mio obiettivo se non cambiare la storia di Taranto ridando speranza a quella povera città? Sono dispiaciuto – dive Vendola facendo riferimento al giornalista aggredito da Archinà – ed è del tutto evidente che il maltrattamento era strumentale a quella ‘captatio benevolentiae‘ con il mio interlocutore”.
Vendola ha inviato poi un sms al cronista e poi gli ha telefonato. Luigi Abbate, da parte sua, dice di aver apprezzato la telefonata di Vendola ma di aver “accettato con riserva” le scuse del governatore. “Non metto in dubbio il suo rispetto verso la libertà di stampa, ma il più bel regalo e la più bella forma di scuse sarebbe quella di sostenere nei fatti la sanità tarantina”. A Taranto, spiega Abbate, “si muore di cancro così come si moriva prima, ed i valori degli inquinanti si sono ridotti solo perché l’Ilva ha diversi impianti fermi. Non è una questione personale tra me e Vendola. Le scuse più belle le deve formalizzare alla città”.
“Sul tema dei morti per tumore non c’è nulla da ridere”, aggiunge parlando a Radio Popolare. “Vendola mi ha telefonato e mi ha fatto le sue scuse. Ha detto che era in un momento di stanchezza, appena tornato dalla Cina, e gli è venuto da ridere vedendo Archinà che mi strappava il microfono. Posso capire che una persona abbia bisogno di distrarsi e che Vendola non abbia riso dei morti per tumore. Però si parlava di un argomento serio, non c’era nulla da ridere. Mi ha anche definito faccia da provocatore, e mi sembra un’offesa gratuita. Vendola mi ha detto che considerava Archinà una colomba, che voleva mediare per tutelare ambiente e lavoro. Non credo che con Archinà si sia mai tutelato l’ambiente, visto che i dati su inquinamento e morti per tumore crescevano in modo esponenziale”.
Intanto il presidente del Consiglio regionale della Puglia Onofrio Introna ha convocato per lunedì 18 novembre, alle 12, la Conferenza dei presidenti dei gruppi consiliari. All’ordine del giorno, la richiesta di convocazione urgente del Consiglio, sulle vicende dell’Ilva di Taranto, da parte dei capigruppo del centrosinistra: Giuseppe Romano, Michele Losappio, Angelo Disabato, Franco Pastore, Lorenzo Nicastro, Francesco Damone, Aurelio Gianfreda. Anche il gruppo consiliare del Pdl aveva chiesto la convocazione.
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