Il salumificio Rigamonti compie un secolo di vita e annuncia la procedura di mobilità per 104 lavoratori. Sono quasi la metà di quelli impiegati a Montagna, Poggiridenti e Mazzo, i tre stabilimenti della Valtellina dove si produce la bresaola Rigamonti, uno dei marchi più noti della nostra gastronomia. Un’eccellenza che da qualche anno è finita in mani brasiliane. La proprietà è di Jbs, il maggior produttore di carni bovine al mondo, leader nella macellazione e nella lavorazione delle pelli.
Più volte Jbs in passato è finita al centro di polemiche: in patria per la deforestazione dell’Amazzonia (con relative multe milionarie), in Italia per l’utilizzo di carne di zebù brasiliano in quelli che una volta erano prodotti tipici alpini. In Valtellina, però, almeno all’inizio i brasiliani erano ben visti. Si erano presentati con la promessa di aprire nuovi mercati e il volume d’affari pareva una garanzia per la tenuta dei livelli occupazionali. “Siete in buone mani”, aveva detto Emilio Rigamonti al momento di cedere l’azienda di famiglia. I lavoratori ora ci ripensano e scuotono la testa.
A dare l’annuncio che ha spiazzato tutti è stato Roberto Aparecido Colacrai, amministratore delegato della società: “Il deficit accumulato è pesante – ha spiegato ai sindacati – anche il 2013 si chiuderà con una perdita rilevante. La congiuntura economica negativa ha aggravato la situazione rendendo ineludibili interventi significativi sulla struttura”. Traduzione: bisogna tagliare sul costo del lavoro, di 263 dipendenti ne devono restare 159. I lavoratori hanno risposto con uno sciopero per la giornata di venerdì 15 e ora attendono la convocazione di un tavolo con la proprietà in provincia.
La preoccupazione è grande e non solo per il rischio licenziamento. In valle ci si domanda come possa la produzione andare avanti con numeri così ridotti. “La Jbs non ci ha mai presentato un piano industriale, non hanno mai ipotizzato una ristrutturazione – spiega Vittorio Boscacci, segretario della Flai Cgil di Sondrio –. Abbiamo paura che vogliano effettuare un taglio drastico per rendere la società più appetibile sul mercato e vendere ad un prezzo migliore”.
In questi anni il business non ha dato grandi soddisfazioni ai brasiliani. Hanno perso 20 milioni di euro in cinque anni, dopo aver investito 30 milioni per rilevare il brand. Al momento del loro arrivo nei tre stabilimenti valtellinesi veniva confezionato il 40% della bresaola consumata in Italia. Ora il fatturato è crollato. “Stiamo parlando di un gruppo che fa 70 mila tonnellate di prodotti – prosegue Boscacci –. Ma la bresaola è un prodotto di qualità: bisogna prestare attenzione alle diverse fasi di lavorazione, fare investimenti. Loro, invece, sono venuti qua solo per fare business alle spalle del marchio”.
La crisi del salumificio fa tremare anche le aziende dell’indotto. In Valtellina sono tante le piccole industrie e gli allevatori che lavorano per Rigamonti. La perdita di commesse importanti porterebbe inevitabilmente a un taglio del lavoro in appalto all’esterno. E’ una nuova mazzata per la zona che ha già vissuto il declino dell’edilizia prima e della metalmeccanica poi. La Riello è in trattativa per disfarsi dello stabilimento che produce caldaie a Morbegno. L’industria alimentare era l’unica che non aveva dato segni di cedimento. Poi è arrivata la chiusura dell’Acqua Frisia e ora queste 104 procedure di mobilità alla Rigamonti, da sempre uno dei pilastri su cui poggia l’economia da Sondrio in su. Bisogna fare molta attenzione, dicono gli amministratori locali, in questo modo la montagna si spopola.