L'uomo più ricco di Russia ha aumentato al 30% le sue quote nei Gunners. Nel suo passato problemi con la giustizia e il carcere. Oggi, la stretta amicizia con Putin
In principio fu Roman Abramovich: il suo avvento alla presidenza del Chelsea nel 2003 segnò l’inizio di una nuova era per il calcio europeo, in cui i grandi paperoni dell’est e del mondo arabo hanno sconvolto gli equilibri, sul mercato e sul campo. Il suo esempio è stato seguito da emiri e sceicchi; e in patria da Dimitry Rybolovlev, che da due anni ha acquistato il Monaco e a suon di milioni cerca di trasformarlo in una grande squadra.
Adesso un nuovo magnate dell’ex Unione Sovietica potrebbe aggiungersi all’elenco: nelle scorse settimane l’oligarca Alisher Usmanov ha aumentato la propria quota di partecipazione nella società dell’Arsenal, dove era entrato nel 2007 con il 14%, e di cui ora possiede più del 30%. La proprietà resta saldamente nelle mani di Stan Kroenke, tycoon americano che dal 2011 detiene oltre il 60% del club. Ma i movimenti degli ultimi tempi non sono passati inosservati, e potrebbero far parlare a lungo anche in futuro. Perché Usmanov non è un miliardario qualsiasi: amico di Putin, con un passato misterioso in galera e un presente luminoso al vertice di alcune principali aziende del Paese, il magnate uzbeko è oggi l’uomo più ricco della Federazione russa.
Nel 2013 Forbes ha quantificato il suo patrimonio in 17,6 miliardi di dollari. I suoi affari abbracciano tutto il mondo delle telecomunicazioni: con la holding Garsdale possiede una delle reti a banda larga più estese di Russia, e potrebbe in breve tempo arrivare a monopolizzare il mercato nazionale. Usmanov, poi, conta anche televisioni, radio, giornali. E investe tanto sul web. Ma il settore dove ha costruito la sua fortuna è la metallurgia. Negli Anni Novanta – quelli della privatizzazione selvaggia – Usmanov comprava a prezzi stracciati azioni di società in fallimento, arrivando a metter su un vero e proprio impero. E’ così che nel 2000 è diventato direttore generale di Gazprom Invest Holding, braccio finanziario del colosso petrolifero di Stato. Qui cominciano gli intrecci col calcio, visto che Gazprom è proprietaria dello Zenit San Pietroburgo. Ma anche le ombre sulla sua carriera: è proprio Gazprom Invest a cedere nel 2002 il più grande stabilimento estrattivo di Russia a Interfin, azienda a lungo diretta da Usmanov. Che però ha sempre rispedito al mittente le accuse di conflitto d’interessi.
Nel 2012, poi, lo scandalo delle transazioni da parte di alcuni importanti oligarchi russi (tra cui Usmanov e Abramovich) ad una società alle Bahamas riconducibile alla moglie del vicepremier Igor Shumalov. Secondo il leader dell’opposizione russa, Alexei Navalny, la cifra versata dal magnate uzbeko sarebbe in qualche modo legata al maxi-prestito di un miliardo di dollari concessogli dalla banca di Stato Vtb nel 2009. Usmanov, del resto, ha sempre cercato di contraccambiare i favori ricevuti dal Cremlino. Come nel corso delle elezioni del 2011, ad esempio, quando non esitò a licenziare il direttore del settimanale Vlast’ (da lui controllato), reo di aver fatto pubblicare una vignetta satirica contro il presidente Putin. I due “amici” non perdono occasione di manifestarsi pubblicamente stima reciproca. E di darsi una mano, quando serve.
L’irrefrenabile ascesa è riuscita anche a cancellare la sua turbolenta giovinezza. Cresciuto in ambienti vicini al Kgb, Usmanov fu arrestato nel 1980 e condannato a otto anni di prigione: a suo carico, le accuse vaghe quanto pesanti di frode, corruzione, peculato. Uscì di galera dopo sei anni, per buona condotta. Nel 2000 la Corte Suprema dell’Uzbekistan lo ha riabilitato, stabilendo che il procedimento a suo carico fu una montatura. Ma i contorni della vicenda restano nebulosi. E secondo Craig Murray, ex ambasciatore britannico a Taskhent, Usmanov deve il perdono all’intercessione del boss mafioso Gafur Rakimov, suo presunto mentore.
Ma le accuse cadono nel vuoto e quegli anni passano nel dimenticatoio. Oggi Usmanov si gode i suoi 17 miliardi di euro, che gli permettono anche di dare l’assalto alla proprietà di uno dei club calcistici più importanti al mondo. Il 30% recentemente raggiunto non vale l’accesso alla stanza dei bottoni dell’Arsenal: tutte le decisioni continuerà a prenderle l’americano Kroenke. E proprio questa, probabilmente, è la principale garanzia che la battaglia per il controllo del club è appena cominciata: Usmanov non è mai stato abituato a fare da comprimario. E i Gunners – che dopo stagioni difficili sono tornati protagonisti in questo inizio di stagione – aspettano anche i suoi rubli per riconquistare la Premier League, che manca in bacheca esattamente da dieci anni.