Non è imperativo ma lo consiglio. E non perché ho rapporti di parentela non lontani con l’autore. Che, come Oriana Fallaci si faceva chiamare scrittore, anche lei dice che certe professioni al maschile suonano più autorevoli. Dunque Agata Gambardella Piromallo è professore di Scienze della Comunicazione, conferenziere, oltre che autore di numerosi saggi (tra cui “Le sfide della comunicazione” e “La Comunicazione tra incanto e disincanto). Quest’ultimo “Profeti della software culture: Joyce, Rilke e Calvino”, edito dallaFrancoAngeli, va letto perché è un’attenta analisi su come si sia trasformato il nostro linguaggio ad opera dei social network.
Joyce, che nell’ “Ulisse” spezza la parola fino al limite del dicibile, prefigura l’attuale universo comunicativo della Rete dove la comprensione dei messaggi avviene attraverso l’immersione totale del lettore nel testo. Qui le parole non devono tanto veicolare significati quanto provocare risonanze emotive nel lettore e muoversi nella scia dei desideri dichiarati o sottesi.
Le “Elegie duinesi” di Rilke, incentrate sulla figura dell’Angelo, evocano la dimensione della immaterialità che è la stessa nella quale si giocano i nostri rapporti sulla Rete. La figura dell’Angelo, d’altra parte, è presente nella cultura del secolo scorso anche come aspirazione a una dimensione altra, sia da parte dell’ uomo che da parte dello stesso Angelo. Basti pensare al film-capolavoro di Wim Wenders (Il cielo sopra Berlino) in cui l’ Angelo protagonista baratta la propria immortalità per un umano desiderio di amore.
Calvino, infine, ne “Le Città Invisibili” opera un rivolgimento totale delle coordinate spazio-temporali, così come avviene nei videogiochi dove ogni punto di riferimento è creato dal giocatore e muta di continuo.
Letteratura e software culture si aprono entrambi verso mondi immaginari e sono in grado di rimodellare continuamente il nostro rapporto con la realtà. Il libro è stato presentato da Aldo Trione, professore emerito di Estetica alla Federico II, da Gabriele Frasca, Presidente delle Fondazione “Premio Napoli”, e Alfonso Amendola, docente di Scienze della Comunicazione dell’Università di Salerno. Proprio nelle stesse ore in cui usciva il servizio choc dell’Espresso “Bevi Napoli e poi muori” sull’emergenza ambientale l’intellighenzia napoletana si riuniva all’Istituto degli Studi Filosofici dove è avvenuta la presentazione. E qui continua a mantenere l’occhio vigile perché l’Istituto, punto di riferimento per la cultura internazionale, anche se non gode proprio di buona salute finanziaria, almeno non rischi più l’infame chiusura.
Sarà pure una goccia di buone intenzioni, ma almeno non è inquinata.
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