Ci risiamo, le previsioni di crescita dell’eurozona sono risultate sbagliate, guarda caso ancora una volta per eccesso: il tasso è stato dello 0,1 per cento nel terzo trimestre e dello 0,4 su base annuale. L’economia francese, italiana e greca sono ancora in contrazione, rispettivamente – 0,1 le prime due e – 0,8 la terza e persino l’economia tedesca sta rallentando 0,3 rispetto allo 0,7 del primo trimestre dell’anno. Nei mesi estivi la crescita più alta è arrivata dall’Estonia e dalla Finlandia, che hanno registrato un anemico 0,4 per cento seguite a ruota dal Belgio (0,3), sede dell’euroburocrazia.
Questi dati sono particolarmente preoccupanti se messi in relazione a quelli degli altri paesi: a parte il 7,8 per cento della Cina, Stati Uniti, Gran Bretagna (0,8 per cento nel terzo trimestre del 2013) e Giappone riportano tutti tassi di crescita superiori a quelli dell’eurozona, anche se modesti rispetto a quelli cinesi. L’economia italiana, poi, in contrazione da ben 9 trimestri, preoccupa gli analisti e fa vacillare la fiducia in un governo che sembra il pilota automatico di quello che lo ha preceduto. Ma allora è vero che alla guida del paese ci sono sempre gli stessi e che i piloti veri lavorano per Bruxelles e non per Roma?
Una settimana fa a Londra Mario Monti ha incontrato a porte chiuse un gruppo di personaggi chiave delle City, lo scopo era convincerli del successo della sua politica. Lo accompagnavano come ‘angeli custodi’ alcuni euro-burocrati italiani di stanza a Bruxelles da almeno una decina d’anni. Lo scopo dell’incontro, a detta di chi via ha partecipato, era sondare il terreno per raccogliere consensi nell’eventualità di un rilancio dell’avventura politica del ‘tecnico’ Monti o, piu’ realisticamente, per trasformarlo nel broker della vendita di quei pochi gioielli industriali o commerciali ancora presenti nello scrigno del nostro patrimonio nazionale.
Nonostante questo tipo di incontri con il gotha della finanza mondiale e nonostante le rassicurazioni degli euroburocrati amici di Monti (dalla discussione pare che sia emersa l’immagine di un’Italia fiorente ad un passo dalla ripresa economica), il mondo dell’alta finanza continua a vederci come il malato d’Europa. E la malattia, ahimé, è cronica.
E’ ormai chiaro, infatti, che la politica adottata dall’Unione per arginare la crisi del 2010, che può essere riassunta nella frase storica di Mario Draghi: faremo di tutto per salvare l’Euro, ha funzionato solo per stabilizzare i mercati evitando la disintegrazione dell’euro. Il problema vero è che questa strategia non ha affrontato i problemi di lungo periodo di un’economia malata a causa di un sistema monetario che non rispecchia in pieno le potenzialità delle singole economie ed anzi agisce da fattore di distorsione di queste stesse. Ma non basta, la politica anti crisi rema contro la convergenza ed a favore delle diseguaglianze tra i veri paesi.
Il rallentamento della crescita tedesca, ad esempio, è legato alla contrazione delle economie mediterranee, questo però è stato in parte compensato nel terzo trimestre dalla domanda interna, che ha sostenuto tutta la crescita. Lo stesso fenomeno non si è verificato in Francia o nel resto dell’Eurozona. Che significa? Che l’economia tedesca si sta assestando su basi interne e con molta probabilità i sui esportatori stanno guardando ad est in termini di nuovi mercati di sbocco, tra questi c’è l’Estonia ma anche la Russiae le repubbliche centro asiatiche, mentre l’economia francese o italiana non possono farlo perché la domanda interna è in contrazione e l’industria nostrana è stata smantellata.
Mentre nel lungo periodo l‘importanza dei mercati mediterranei per Berlino potrebbe ridursi al mantenimento dell’euro, moneta infinitamente più debole in questa economia del marco tedesco, per paesi come la Francia e l’Italia questo assestamento non solo non è possibile ma è negativo.
In teoria la riduzione delle importazioni tedesche aiuta la bilancia dei pagamenti francese o italiana ma se l’industria nazionale non produce più gli stessi prodotti la loro mancanza non migliora l’economia, anzi può anche impoverirla; se a questo aggiungiamo l’euro, una moneta infinitamente più forte della lira, della dracma o della peseta ecco che l’aggiustamento in atto non aiuta l’eurozona. La Germania, con un’economia forte ed una struttura industriale molto competitiva può sopravvivere alla contrazione con le strategie sopra elencate ma l’Italia che ha perso dall’inizio della crisi il 15 per cento della propria industria e che un tempo era la seconda potenza industriale d’Europa, in diretta concorrenza con la Germania, l’Italia di oggi no, non ha nessuna possibilità di contrastare la contrazione attuale.
Mario Monti ed i suoi amici euroburocrati queste cose non le raccontano anche se ne sono a conoscenza. Usano la retorica e la propaganda europiesta per nasconderle ma prima o poi tutti i nodi vengono al pettine ed allora sì che ne vedremo della belle!