Non può essere compito di un’Autorità amministrativa regolamentare settori nei quali vengono in rilievo diritti di rango costituzionale e non tocca, pertanto, all’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni dettare le regole sul diritto d’autore online. E’ questa una delle conclusioni cui è giunto Frank La Rue, relatore speciale per la Promozione e Tutela della Libertà di Informazione al termine della sua visita ufficiale nel nostro Paese. Una conclusione ferma, netta, inequivocabile che arriva a fare definitivamente chiarezza su una questione che, da mesi, impegna addetti ai lavori e Istituzioni.
Non ha dubbi lo special rapporteur delle Nazioni Unite: deve essere il Parlamento a disciplinare una materia complessa come quella del diritto d’autore online ed a stabilire in che misura, la legittima tutela della proprietà intellettuale possa giustificare una compressione della libertà di comunicazione che, non vi è dubbio, si registri ogni qualvolta si ordini la rimozione di un contenuto dallo spazio pubblico telematico.
Il punto, dunque, secondo La Rue non sarebbe il merito della questione ovvero se sia legittimo o meno disporre la rimozione di un contenuto o il blocco all’accesso di un sito internet per garantire un’adeguata tutela ai titolari dei diritti d’autore ma il metodo perché ad assumere una decisione di questo genere non potrebbe che essere il Parlamento.
La presa di posizione del Relatore Speciale delle Nazioni unite arriva a pochi giorni da quella del Sottosegretario ai Beni e alle Attività culturali Simonetta Giordani che, lo scorso 15 novembre, nel rispondere ad un’interpellanza parlamentare si era detta certa che l’iniziativa regolamentare che Agcom sta per assumere non violerebbe, in alcun modo, l’art. 19 della Convenzione internazionale sui diritti dell’uomo. Due posizioni di senso diametralmente opposto. Un semaforo verde quello che il Governo ha voluto dare all’Agcom ed un semaforo inequivocabilmente rosso quello che La Rue ha mostrato all’Agcom. Ma chi ha ragione e chi torto?
Ciascuno scelga da che parte schierarsi ma guai a dimenticare che il relatore speciale delle Nazioni Unite per la Promozione e Tutela della Libertà di Informazione ha come unico mandato proprio quello di garantire che l’art. 19 della Convenzione dei diritti dell’uomo venga rispettata ed applicata in tutto il mondo. Difficile credere che Frank La Rue sbagli nell’interpretare proprio la norma alla base del suo mandato e della sua missione.
Più facile credere che, qualcuno, abbia dettato al Sottosegretario la sua forbita risposta, soprattutto considerato che ci sono interi periodi di tale risposta che sono il risultato di un malcelato “copia e incolla” del comunicato stampa con il quale lo scorso 25 luglio, l’Agcom ha pubblicato il draft del proprio regolamento, aprendo l’ultima consultazione pubblica.
Ma lo Special Rapporteur delle Nazioni Unite, nelle sue raccomandazioni al nostro Paese, si spinge oltre ed entra anche nel merito della questione, chiarendo che “deve essere il Parlamento a decidere in quali casi può essere ordinata la rimozione di un contenuto dallo spazio pubblico telematico e che tocca ai giudici – e solo a loro – dare attuazione a tale eventuale regola”.
Ora ciascuno faccia la sua mossa ma è chiaro che se l’Agcom proseguirà nel suo ostinato tentativo di scrivere regole che non le compete scrivere perché relative al delicato rapporto tra diritto d’autore e libertà di informazione, il nostro Paese si porrà al di fuori del sistema dei diritti fondamentali dell’uomo. Siamo davvero sicuri che per assecondare le richieste di Hollywood e del resto dell’industria dei contenuti si debba rischiare così tanto? Ha senso cercare di uscire dalla watch list dei Paesi nei quali la pirateria online rappresenta – secondo il Governo Usa che, a casa propria, non ha mai adottato regole tanto rigorose – un problema, precipitando in quella delle Nazioni Unite dei Paesi che non rispettano i diritti fondamentali dell’uomo?
Sono queste le domande che, qualcuno, in Agcom e fuori dall’Agcom dovrebbe porsi, soprattutto tenendo conto che non vi è alcuna certezza – ed appare anzi lecito dubitare – che il nuovo regolamento sia davvero la panacea di tutti i mali che affliggono l’industria dei contenuti.