L’indagine di AstraRicerche per Manageritalia e Kilpatrick è stata svolta a settembre 2013. Ogni anno mille dirigenti lasciano il Bel Paese per cercare più meritocrazia. I motivi che li spingerebbero a tornare? Solo di tipo affettivo
Non solo ricercatori e professori universitari. Ormai quasi mille manager italiani decidono ogni anno di lasciare il Bel Paese e sono più di 10mila quelli che già lavorano stabilmente oltreconfine. Un fenomeno in crescita e preoccupante, evidenziato da un’indagine di AstraRicerche per Manageritalia e Kilpatrick, svolta a settembre 2013 e a cui hanno risposto via web 447 manager espatriati dei 1.500 interpellati. Ne emerge che i manager per lo più vanno all’estero volutamente (93%), concordandolo con l’azienda nella quale operano in Italia (49%) o cercandone una che offra quest’opportunità (44%).
Spesso espatriare significa crescere professionalmente. Infatti, si va all’estero per cogliere possibilità di lavoro più stimolanti di quelle presenti in Italia (51%), fare un’esperienza internazionale (38%), o perché è il passaggio obbligato per fare carriera in azienda (24%). C’è anche chi è stato obbligato dal non aver trovato opportunità interessanti in Italia (27%) o da motivi personali e familiari (9%). Solo il 5% di quelli che erano già all’estero per motivi di studio e sono poi restati lì in pianta stabile.
Il 97% è molto (75%) o abbastanza (22%) soddisfatto del lavoro, l’87% della vita personale, l’81% delle relazioni. Per gli intervistati all’estero c’è più meritocrazia in tutti gli ambiti (86%) ed è più facile fare carriera per merito e senza avere particolari conoscenze (79%), che valgono e si usano in relazione al merito e all’esperienza delle persone (79%). Bocciata sul fronte lavorativo, l’Italia resta comunque per i manager espatriati il più bel Paese dove vivere (84%), tant’è che vorrebbero che il Paese estero che li ha accolti oggi la prendesse ad esempio per molti aspetti della vita sociale (80%). Ma poi riemerge con forza l’attualità, tant’è che si afferma che nell’Italia di oggi non ci sono prospettive né a livello economico né a livello sociale per pensare di tornare (83%).
Nonostante questo, quasi tutti tornerebbero in Italia durante la vita lavorativa (92%), alcuni certamente (44%) e altri forse (48%). I principali motivi per tornare sono però quasi solo affettivi: per un riavvicinamento alla famiglia (57% d’origine) e/o per la qualità della vita (45%). Poco più di un terzo (37%) quelli che tornerebbero per opportunità professionali. A detta degli intervistati all’estero, indipendentemente dal Paese o continente di appartenenza, i manager sono ritenuti una componente importante della classe dirigente (96%), sono una delle professioni più ambite dai giovani (76%) e hanno ruolo e voce in capitolo nel definire le scelte economiche del paese (65%).
A questo si aggiunge che c’è una netta distinzione tra top manager della finanza e la generalità dei manager (72%). Insomma, un altro mondo rispetto all’Italia. Sempre riferendosi al paese estero dove vivono oggi, meno della metà (40%) afferma che i top manager hanno una pessima reputazione, mentre solo l’11% dice che i manager in generale abbiano una pessima immagine presso la gente comune. Ci riavviciniamo un po’ all’Italia parlando del settore pubblico che all’estero denota per i manager una certa intercambiabilità professionale con quello privato (52%), e un’immagine non eccelsa, tant’è che solo nel 46% dei casi si ritiene che i manager pubblici siano validi e stimati (46%).