Il web ha molti meriti: è uno strumento di diffusione della cultura e dell’informazione relativamente libero ed aperto; allarga la partecipazione delle persone alla vita culturale e politica del paese; consente scambi, amicizie e relazioni a distanza; e molto altro ancora. Il web ha introdotto molti cambiamenti del costume, alcuni dei quali sono eticamente deplorevoli ma sociologicamente interessanti. Uno tra questi è la riabilitazione della lettera anonima.
A causa della sua architettura e delle (scarse) norme che ne regolano l’uso, il web incoraggia all’anonimato chi decide di parteciparvi, mediante un esteso ricorso all’uso di soprannomi e nickname. Ci deve essere una qualche ragione profonda di psicologia sociale che induce così tanta gente a voler partecipare alla vita sociale e culturale pubblica del paese soltanto in forma anonima, come se non volesse rivendicare con legittimo orgoglio il proprio contributo ma lo volesse quasi disconoscere. Tanta gente ritiene di avere qualcosa da dire in pubblico, a tutti (o almeno a tutti gli interessati), ma non vuole far sapere di averlo detto. Chi ha scritto il tale commento? Biancaneve1958 o SanGiuseppe22 o PioggiaNelVento. I risultati di questo costume sono talvolta francamente esilaranti: ogni tanto leggiamo MartireDellaLibertà che scrive qualche forma modernizzata del più trito “lei non sa chi sono io” senza rendersi conto che il nickname ha per l’appunto l’effetto di impedire a tutti di sapere chi è lui; oppure SennacheribIII che vanta il proprio curriculum accademico o i propri successi professionali curando che risultino vaghi abbastanza da non essere riconoscibili ed attribuibili ad alcuno; e via dicendo (gli esempi ed i nickname citati sono di fantasia).
E’ vero che grandissimi autori del passato hanno usato pseudonimi per ragioni eticamente alte, come Ettore Schmitz, che si firmava Italo Svevo per riconoscere, nobilitandolo, il suo sentirsi figlio di culture e tradizioni diverse; ma ho difficoltà a vedere ragioni analoghe nei nickname che leggo quotidianamente sui dibattiti che appaiono sul web, anche su questo giornale. In altri casi l’anonimato aveva la funzione di proteggere l’autore dell’opera da persecuzioni feroci: gli autori dei dialoghi tra le statue parlanti Pasquino, Marforio e Donna Lucrezia rischiavano la libertà se non la vita per la satira politica. Ma questa persecuzione non esiste più, e oggi non abbiamo nulla da temere in questo senso, almeno finché in ciò che scriviamo non sia ravvisabile un reato di diffamazione. E’ triste notare che molti nickname firmano commenti diffamatori, veri e propri reati, che l’autore sembra vedere come giuste denunce di reati altrui (peraltro spesso presunti, anziché convalidati da condanne definitive): il fustigatore dei costumi è spesso un volgare diffamatore anonimo.
Quando si scriveva con la carta e la penna, la lettera anonima era considerata disdicevole: la dignità dell’autore esigeva che firmasse con il suo nome e cognome. Com’è che oggi l’anonimato è diventato la regola anziché l’eccezione ed ha perduto quella connotazione etica negativa che aveva in passato? In alcuni casi per una banale degradazione del costume e della morale: il nickname serve per esprimere giudizi offensivi o diffamatori che metterebbero l’autore a rischio di una querela (non che la polizia postale, dietro denuncia, non possa comunque risalire al nome: ma il nascondiglio è psicologico). In altri casi il nickname mi sembra usato come un paravento per impedire al lettore di valutare l’attendibilità dell’autore del contributo pubblicato: se voglio sparare a zero sull’ultimo premio Nobel per la Medicina o per l’Economia scelgo di nascondermi dietro un nickname per impedire ai miei lettori di verificare che non ho mai dimostrato di capire un’acca di queste materie; oppure, se voglio millantare i pregi di un preparato per far crescere i capelli, mi nascondo dietro il nickname per non far sapere che sono io a produrlo. Altre volte ancora la stessa persona potrebbe usare nickname multipli per darsi ragione da sé stesso e trasformare un singolo in una maggioranza, o almeno in una consistente minoranza. Sarò antiquato, ma i nickname mi stanno antipatici.