C’è da stare in silenzio. Giustizia è fatta. E’ il giudice Francesco Cananzi a leggere la sentenza di condanna all’ergastolo per Salvatore Balbassarre, il killer di Lino Romano, un innocente, che nulla aveva a che fare con quella merda di camorra.

Era il 15 ottobre dell’anno scorso, di sera, in via Marianella a Napoli. Salutò la sua amata fidanzata, uscì dal portone del palazzo per raggiungere in auto gli amici e disputare una partita a calcetto. Quella bestia di Salvatore Baldassarre, camorrista emergente, con il cervello bruciato, sbucò dal buio come fanno le zoccole, e lo confuse per Domenico Gargiulo, detto Sicc ‘è penniello, vero obiettivo dell’agguato, perché colpevole di un tradimento: aveva abbandonato il clan per i rivali. La bestia comincia a sparare. Quattordici pallottole. A chi – in seguito – durante una telefonata gli rimprovera l’errore, lui risponde tranquillo: “Lo sai, quando comincio a premere il grilletto non mi fermo più”.

Vale poco la vita a Napoli. Prima del verdetto stamane nell’aula 114 del Tribunale di Napoli, lui, la bestia, Salvatore Baldassarre ha preso la parola: “Sono stato io ad uccidere Lino Romano, ammetto le mie responsabilità, chiedo scusa a Dio, alla famiglia. Ma non mi pento, mi limito ad assumermi le mie responsabilità dinanzi a questo giudice, mi piacerebbe essere come quelli là (i pentiti, che hanno collaborato), ma non mi pento”.

Adesso non ride più spavaldo Salvatore Baldassarre. Quando fu stanato e acciuffato dalla polizia nel covo di Secondigliano con moglie e figli si concesse ai flash dei fotografi e alle telecamere “esibendosi” con smorfie, moine e baci indirizzati ai suoi cari. Voglio dire – queste benedette donne, compagne, mogli, amanti, madri di camorristi, dovrebbero sempre spiegare come cazzo riescono a vivere affianco a uomini così. Sicari sanguinari, killer spietati,psicopatici del grilletto facile che per mestiere – dietro pagamento – ammazzano altri cristiani come loro.

Come si fa? Come permettono a un figlio di abbracciare un padre così. Come? E’ un mistero. E’ una mutazione genetica. Una questione psichiatrica.

L’inchiesta è stata rapidissima e portata avanti dai magistrati anti camorra Sergio Amato e Enrica Parascandolo e dalla collaborazione di alcuni pentiti che parteciparono all’ideazione e realizzazione dell’agguato. Le pene riguardano anche loro: Giovanni Marino (che guidava l’auto con a bordo Baldassarre) è stato condannato a 18 anni e 8 mesi; i fratelli Carmine Annunziata a 16 anni e Gaetano Annunziata e la madre, “basista”, Anna Altamura a 14 anni. Proprio questa donna raccontò di aver avvertito il killer con un sms.

Il sicario era registrato nella rubrica del suo cellulare col nome “Amore”. Presenti in aula i genitori di Lino Romano, il 30enne operaio, che voleva solo sposare la sua Rosanna e viverci accanto. Una storia aberrante che somiglia a tante altre storie assurde di vittime innocenti, trucidate solo perché il caso, la fatalità, l’errore ci ha messo lo zampino. A Napoli può accadere. Vieni risucchiato in un buco nero, in un incubo, da cui, chi ti vuole bene, se sopravvive al dolore vivo, ottiene – non è sempre così – giustizia e una sentenza di condanna, poi tante iniziative, manifestazioni, belle parole e lacrime per ricordare ma senza più Lino, Silvia, Annalisa, Giuseppe, Nunzio, Gigi, Paolo, Mimmo, Mario, Gaetano, Domenico, Luigi, Raffaele, Antonio, Emiliana, Anna, Attilio, Carlo, Sofia, Patrizia e le centinaia che in questi anni hanno versato sangue innocente sul selciato delle strade di Napoli e della provincia.

 

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