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Qatar, i mondiali dello sfruttamento

Rahul (il nome è di fantasia) è uno dei circa 1.400.000 lavoratori migranti residenti in Qatar. Provengono quasi tutti dall’Asia meridionale e sudorientale (lui stesso è dell’India), in buona parte arrivati negli ultimi anni a causa dell’enorme crescita del settore delle costruzioni, legata all’organizzazione dei campionati mondiali di calcio del 2022.

Giunto in un paese di cui non conosceva la lingua, a 2000 chilometri da casa, Rahul è entrato in un incubo. A Ras Laffan, a meno di un’ora di macchina dalla capitale Doha, sorge un modernissimo centro di formazione, inaugurato in pompa magna dal primo ministro del Qatar esattamente un anno fa. All’interno del Ras Laffan Emergency and Safety College, ci sono un auditorium di 120 posti, varie sale convegni, un ristorante per 300 coperti e uno spazio per le esibizioni con tanto di palco per i Vip.

Rahul si è spaccato la schiena per costruire quel campus. In cambio, quattro mesi prima dell’inaugurazione, ha smesso di ricevere lo stipendio. Il costruttore Krantz Engineering ha più volte assicurato che i soldi sarebbero arrivati e ha costretto Rahul e gli altri operai a terminare i lavori, minacciando multe se non si fossero presentati in cantiere.

Dopo l’inaugurazione, gli operai hanno preteso di ricevere le paghe dovute. Non c’è stato verso. Allora hanno cercato di cambiare lavoro, ma occorreva il permesso di Krantz Engineering. Infine, hanno provato a tornare a casa, ma Krantz Engineering tratteneva i loro passaporti. È il sistema dello “sponsor”. 

Anche se fosse stato libero di prendere il primo aereo, Rahul non avrebbe avuto soldi sufficienti per comprare il biglietto. Senza stipendio ormai da mesi e con l’ansia dei debiti contratti in India per pagarsi in viaggio in Qatar, ha iniziato a pensare al suicidio.

Molti ex colleghi di Rahul, nel frattempo, erano stati arrestati perché Kranz Engineering, che in teoria avrebbe dovuto occuparsi della loro regolarizzazione, non lo aveva fatto. Dunque, adescati, sfruttati e “clandestini”.

Nell’aprile di quest’anno, Rahul ha scritto ad Amnesty International: “Vi mando questa mail dopo tanto dolore e tanti tentativi vani… Mi sono rivolto al tribunale del lavoro, all’ambasciata dell’India, all’Alta corte, al ministero dell’Interno, al Comitato nazionale dei diritti umani ma non mi ha risposto nessuno. Non ricevo gli arretrati da nove mesi e cinque giorni fa ho finito i soldi per comprare da mangiare”.

Amnesty International ha sollecitato il Comitato nazionale dei diritti umani, che a sua volta ha sollecitato il ministero dell’Interno e, a maggio, Rahul ha ottenuto il permesso di lasciare il Qatar, non prima di essere costretto a firmare una dichiarazione falsa, e cioè che aveva ricevuto i nove mesi di paga dovuti. A luglio, un anno dopo la fine del versamento degli stipendi, gli ultimi tre disperati operai della Krantz Engineering sono riusciti a partire. 

Fine dell’incubo? No. Rahul è tornato in Qatar. Non ha altro modo per ripagare i debiti accumulati in India. Ha trovato lavoro, sempre nel settore delle costruzioni, e spera che stavolta andrà diversamente.

Questa storia è raccontata, insieme a tante altre, in un rapporto pubblicato da Amnesty International: 169 pagine di sfruttamento ai limiti del lavoro forzato  in uno dei paesi più ricchi del pianeta, per costruire le infrastrutture dei campionati di calcio del 2022.