Vorrei rispondere in modo pacato e il più possibile oggettivo a Nichi Vendola che in un suo intervento rivendica il merito di aver ordinato i primi controlli sulla diossina a Taranto: “Quei monitoraggi li facciamo noi. Raccogliamo i dati sull’inquinamento, che nessuno, sottolineo nessuno, aveva voluto certificare fino ad allora”.
Nichi Vendola dichiara infatti di aver combattuto l’Ilva “in solitudine” ricevendo in cambio oggi solo ingratitudine e contestazioni. “In queste ore – dichiara infatti – sto subendo il tentativo, bene orchestrato, di far slittare la vicenda Ilva in un processo di piazza, un processo senza prove, senza dibattimento e con una sceneggiatura già scritta. Questo processo non dà conto del fatto che per anni abbiamo combattuto in solitudine la battaglia dell’Ilva”.
Ma quale solitudine?
Nichi Vendola non dice (e sinceramente mi dispiace) che il 29 novembre 2008 scesero in strada – cosa mai vista nella storia di Taranto – ventimila persone per chiedere un limite alla diossina che aveva avvelenato le pecore e le capre delle masserie, contaminando una parte pregiata della catena alimentare. Da quella mobilitazione nacque il mese successivo la legge antidiossina, alla cui stesura sono contento di aver potuto contribuire personalmente.
I cittadini di Taranto non hanno lasciato solo Nichi Vendola. Sono stati parte attiva del cambiamento e lo hanno anticipato, come avrò modo di dimostrare fra un po’. Vendola, in quelle condizioni di mobilitazione creativa ed effervescente della società civile, sarebbe potuto diventare un leader popolarissimo a Taranto, un meraviglioso e virtuoso esempio per tutta la politica italiana. La gente gli avrebbe perdonato i ritardi e lentezze se lo avesse sentito vicino.
Come mai invece questa potenzialità si spense?
Eppure tra il 2008 e il 2009 stavamo assistendo (e partecipando) al risveglio della speranza progettuale a Taranto. Alex Zanotelli mi telefonava entusiasta da Napoli: “Non mollate, non mollate”, mi diceva.
E c’era bisogno di tenere duro, dato che la legge antidiossina incontrava tanti ostacoli. E così abbiamo dovuto organizzare un’altra manifestazione il 28 novembre 2009. Di nuovo ventimila persone.
Nessuno poteva più dire che i tarantini erano addormentati. Vendola può lamentarsi di tante cose ma non della solitudine. Anzi, i tarantini più sensibili e coscienti lo hanno cercato a lungo, spesso senza trovarlo.
Nel 2009 invece di crescere il cambiamento è cresciuta la resistenza. Non è stato applicato dall’Ilva e dalla Regione Puglia il campionamento in continuo della diossina, previsto dall’articolo 3 della legge antidiossina. Quell’articolo 3 è rimasto lettera morta. Vendola dovrebbe spiegare perché. Senza l’attuazione di quell’articolo non si può avere la certezza che i limiti emissivi della diossina siano rispettati sempre.
Nel 2009 accade poi una cosa stranissima: l’Ilva per ragioni di mercato cala la produzione quasi della metà ma l’inquinamento del benzo(a)pirene non scende. Il benzo(a)pirene è cancerogeno come la diossina e, come la diossina, è genotossico. Può cioè modificare il Dna che i genitori trasmettono ai figli.
A quel punto si apre un dibattito al nostro interno. Molti di noi (io compreso) avevano sempre pensato che sarebbe bastata una riduzione della produzione per ridurre il benzo(a)pirene. Ma così non era accaduto. Nasce una crisi di coscienza. Perché avevano trasferito a Taranto l’area a caldo di Genova che a Genova non riuscivano a compatibilizzare con la città? Perché lì avevano fermato la cokeria dell’Ilva e qui no? In quel travaglio ci sono entrato anche io che ero un sostenitore della compatibilità possibile. Non potevo più ignorare l’evidenza quando calcolammo (studiando l’equivalenza fra benzo(a)pirene e fumo passivo) quante sigarette fumava ogni bambino all’anno: mille. L’evidenza era scritta nelle cose che studiavamo e in quelle che hanno studiato i periti nominati dalla magistratura tarantina e che hanno dichiarato gli impianti dell’area a caldo dell’Ilva non compatibili con la salute dei cittadini. Quei periti sono arrivati a conclusioni diverse rispetto alle magnifiche sorti e progressive che Vendola declamava assieme al sindaco di Taranto Ippazio Stefano. Quest’ultimo nel 2011 dichiarava: “Mi complimento per gli sforzi e i risultati ottenuti da Ilva. Attraverso i recenti dati clinici che ci giungono dalle Asl territoriali, emergono dati confortanti in relazioni alle malattie più gravi, patologie che non risultano in aumento, anche grazie al miglioramento dell’ambiente e della qualità dell’aria”.
Il sindaco di Taranto, molto vicino a Sinistra Ecologia e Libertà, professava quell’ottimismo che anche Vendola condivideva. Striscia la notizia ha mandato in onda più volte il video in cui Vendola, con Stefàno, appare in conferenza stampa vicino a Riva parlando enfaticamente di un “rapporto vero” con i Riva, fatto di “fiducia e di stima”, per poi dichiarare: “Io ringrazio molto l’ingegner Riva”.
Con Vendola veniva costruita la narrazione di un “modello Ilva” che doveva essere esportato come esempio virtuoso. Archinà scrive a Riva, “Vendola aveva pubblicamente dichiarato che il ‘modello Ilva’ doveva essere esportato”.
Quando Vendola rivendica una sorta di strenua lotta solitaria contro il colosso Ilva, dovrebbe dirci anche se il colosso si è mai lamentato di lui in qualche intercettazione telefonica.
Vendola ci contesta una sorta di estremismo, che però è smentito dai fatti perché i fatti concreti sono venuti proprio da noi. Il nostro è stato un percorso concreto, non gridato ma basato su sollidi dati scientifici, che ha sempre anticipato Vendola facendolo sentire in ritardo nella sua attività di governo. Siamo stati noi a scoprire la diossina nel 2005 consultando il database europeo Eper (European Pollutant Emission Register). Siamo stati noi a scoprire nel 2006 che gli organi di controllo regionali non disponevano di alcuno strumento di misurazione della diossina (il cosiddetto spettrometro di massa ad alta risoluzione). Siamo stati noi che nel 2007 abbiamo scritto il dossier da cui emergeva la terribile verità: il 90,3% della diossina industriale proveniva dall’Ilva. Lo abbiamo ricavato dai dati del registro INES. La Regione è costretta a correre ai ripari e a fare – costretta dal clamore mediatico di una simile notizia – i primi monitoraggi nel luglio 2007, con ben 26 mesi di ritardo rispetto al primo allarme che avevamo lanciato nell’aprile del 2005. Su questo ritardo Vendola dovrebbe riflettere. Ed è dai dati del monitoraggio del 2007 che nasce la nostra proposta di legge antidiossina nel 2007. Ma nel 2007 non abbiamo la forza per farci ascoltare, mentre nel 2008 siamo ventimila. Nel 2008 siamo noi che facciamo analizzare la diossina e il Pcb nel formaggio scoprendo che superava di tre volte i limiti di legge. La Regione aveva fatto altre analisi dal 2002 al 2007 senza trovare superamenti.
La storia si ripete nel 2011 quando siamo stati noi a denunciare la presenza della diossina e del Pcb nelle cozze. E nel 2012 siamo noi che spingiamo per far emanare un provvedimento sulle uova, le lumache e la cacciagione a rischio diossina. Nel 2013 siano noi a far analizzare il sangue dei bambini per trovarci tracce significative di piombo, dopo aver fatto analizzare il latte materno riscontrando la terribile traccia della diossina. Tutte queste cose non le ha fatte Vendola: le abbiamo fatte noi. E quando dico noi mi riferisco all’insieme della associazioni e dei gruppi che costituiscono il ricco arcipelago civile che si batte per liberare Taranto dai veleni e dall’indifferenza.
Quando Vendola si sente braccato da un disegno persecutorio non comprende le emozioni. Costruiamo utopie concrete. Nutriamo immense speranze. Su di noi incombono enormi angosce.
Nei quartieri più vicini al polo industriale c’è un malato di tumore ogni 18 abitanti. A chi mi chiede perché mi impegno, rispondo: perché sono un papà. Voglio che mio figlio non sia il diciottesimo di questa roulette. Mi impegno per egoismo. Per altri lo farei per altruismo. Per Vendola lo farei invece per giustizialismo. E mi dispiace che riduca le immense speranze e le enormi paure dei cittadini di Taranto ad un banale complotto contro di lui.
Voglio concludere ricordando che, mentre ha governato Vendola, ogni anno sono morte a Taranto 30 persone per inquinamento industriale, secondo la stima cautelativa dei periti nominati dal GIP Patrizia Todisco.
Mi ha colpito il Procuratore Franco Sebastio il quale, rispondendo a un’intervista, ha rovesciato i ruoli e ha domandato al giornalista: “Se i morti a Taranto si riducessero a 10 l’anno sarebbe per lei un buon risultato? E se si riducessero a uno? E se quell’uno fosse suo figlio?”
Credo che su queste cose Vendola dovrebbe dibattere pubblicamente senza remore, dire la sua e sentire la nostra voce. Riterrei altamente positivo se accettasse un pubblico confronto con chi esercita il legittimo diritto di critica. Io sono pronto. E Nichi Vendola?