Una storia d’amore d’altri tempi, una famiglia che diventa numerosa, una felicità coltivata fino a quando un’auto imbottita di tritolo riduce tutto a brandelli. Racconti in bianco e nero che diventano a colori, particolari inediti e aspre considerazioni personali della donna che più di ogni altra è stata vittima collaterale della strage di via d’Amelio. È questo il testamento di Agnese Piraino Leto, vedova del giudice Paolo Borsellino, scomparsa il 5 maggio scorso, ventuno anni dopo l’attentato che fece strage del marito e degli uomini della scorta.
Consapevole dell’incalzante malattia da cui era affetta, la signora Agnese ha voluto lasciare una traccia, da lei stessa definita come un regalo alla famiglia: “Ti racconterò tutte le storie che potrò” (edizioni Feltrinelli, pagg. 224, 18 euro) è il prodotto dei ricordi che la signora Agnese affida al giornalista Salvo Palazzolo, durante alcuni incontri nella scorsa primavera. Il titolo prende spunto da una frase utilizzata da Borsellino per spiegare alla moglie l’origine del loro legame. “Alle feste – racconta la signora Agnese – guardavamo gli altri ballare. Lui rideva come un matto, io protestavo. «Agnese, ma tu perché stai con me? Io non ti do niente di tutto questo. Non sono il tipo di marito che torna a casa sempre allo stesso orario, si mette le pantofole, si siede davanti al telegiornale e poi nel pomeriggio porta la moglie in giro per una passeggiata. Lo sai perché stai con me? Perché io ti racconto la lieta novella». La prima volta che me lo disse, rimasi spiazzata. Mi misi a piangere. «Io ti sollecito, ti stuzzico, ti racconto la lieta novella che sta dentro tante storie di ogni giorno. Ti racconterò tutte le storie che potrò. Così il nostro sarà un romanzo che non finirà mai, sino a quando io vivrò. La lieta novella manterrà sempre fresco il nostro amore. Perché l’amore ha bisogno di mantenersi fresco».
Lungo tutti i capitoli, che iniziano con il primo incontro dei coniugi Borsellino nello studio di un notaio amico comune, la signora Agnese snocciola ricordi del passato, mette a nudo un’immagine intima del magistrato, ironico e dissacrante con amici e familiari, si rivolge direttamente al suo Paolo, ma cita anche le migliaia di persone che da tutta Italia la hanno sostenuta negli ultimi anni. Non mancano anche particolari inediti sui giorni successivi alla strage del 19 luglio 1992, chiaramente il periodo più doloroso della sua esistenza. “In quei giorni – dice sempre la signora Agnese nel libro – ero contesa da prefetti, generali e alti esponenti delle istituzioni. Mi invitavano e mi sussurravano tante domande. Su Paolo, sulle sue indagini, su ciò che aveva fatto dopo la morte di Giovanni Falcone, sulle persone di cui si fidava. Mi sussurravano domande dentro quei saloni bellissimi pieni di gente importante. E mentre mi chiedevano mi sembrava come se mi stessero osservando, anche se facevano altro: mangiavano una tartina, sorseggiavano un prosecco, ascoltavano il discorso dell’autorità di turno, o magari danzavano. Ora so. Ora so perché mi facevano tutte quelle domande. Volevano capire se io sapevo, se mi aveva confidato qualcosa nei giorni che precedettero la sua morte. E allora tante parole di mio marito mi sono apparse chiare, chiarissime”.
Anni dopo a cercare di mettersi in contatto con la signora Agnese, c’è anche l’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, autore poco prima di morire di una breve e inquietante telefonata in casa Borsellino. “Mi disse – racconta – Via d’Amelio è stata da colpo di Stato. E mise giù il telefono. Un mese dopo, Cossiga morì. Cosa volesse dirmi esattamente con quelle parole non lo so. Però, la voce di Cossiga non la dimenticherò mai. Evidentemente, voleva togliersi un peso”.
Per anni i familiari del giudice palermitano hanno vissuto cercando di evitare l’eccessiva esposizione mediatica. Negli ultimi tempi però la signora Borsellino non ha rinunciato a spendersi in appelli pubblici per tutelare i magistrati della procura di Palermo, come Nino Di Matteo, destinatario di inquietanti lettere anonime negli ultimi mesi, e poi messo sotto inchiesta dal Csm. E proprio mentre a Caltanissetta è in corso il processo per individuare i depistaggi che inquinarono la prima indagine sull’assassinio di Borsellino, Agnese Piraino Leto decide di affidare alle pagine del suo libro una richiesta di verità sulle stragi che nel biennio 1992-93 insanguinarono l’Italia. “Innanzitutto – spiega la vedova di Borsellino – bisognerebbe aprire gli archivi di Stato. E guardarci dentro. Perché, purtroppo, tante verità sono ancora dentro i palazzi delle istituzioni. La verità bisognerebbe chiederla a tanti uomini delle istituzioni, che sanno, ma non parlano: a loro non voglio rivolgere un appello. Sarebbe tempo perso. Perché loro sono degli irriducibili. Questi uomini si devono mettere solo alla berlina, si devono sbeffeggiare, come avrebbe fatto oggi Paolo Borsellino”.
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