Questa mattina provo, per la prima volta sulla pelle, l’occupazione della scuola di Diletta. Mi avverte un’altra mamma che a sua volta è stata chiamata dall’assistente della propria figlia. Mi informa in buona sostanza che la scuola è occupata: professori, assistenti, collaboratori, tutti fuori.
Decido di capire, vado comunque a scuola. Scopro uno schieramento di adulti fuori dal cancello. Entro, e scopro altro schieramento che vocifera leggi personali del pianeta dell’ignoranza. Scorgo ragazzi che vanno via e tra di essi molti minorenni. Un folto numero rimane. Una mamma chiama la polizia di Stato. Lo faccio anch’io. Devo capire questa nuova dinamica. Trascorrono circa due ore di fotografia della nostra Italia: forze dell’ordine che riscontrano l’oggettiva grave discriminazione mentre si duella sullo scarico delle responsabilità che tocca la disabilità. Emerge il quadro che vi riporto:
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Insegnanti di sostegno che comunicano di aver adempiuto al loro dovere avvisando per mezzo degli assistenti o in prima persona i genitori. Ma solo quelli di alunni con disabilità. Gli altri minori sono sorvegliati (speciali loro questa volta)
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Alunni con disabilità grave e minori possono entrare e dovrebbero essere lasciati in custodia di altri alunni, per lo più minorenni perpetrando un regolarissimo abbandono di minore in condizione di grave disabilità.
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Arriva dopo un po’ la Dirigente Scolastica che tenta una mediazione ovviamente fallita. Tentenna un po’ nel perseguire la via dello sgombero consapevole delle conseguenti denunce e delle successive responsabilità
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Auto gestione, cogestione, occupazione: ognuno gioca a dire la sua verità legale mentre gli alunni con disabilità vengono spinti di fatto fuori dalla scuola.
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Gli assistenti che perdono le ore stiano tranquilli: si recuperano. Non fa nulla se tre ore erano sufficienti. Ne avranno 5 per garantire la paga meritata.
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I professori vanno a casa, e in molti sembrano più che soddisfatti e a mio avviso giocano malamente sulla ipocrisia manifesta dell’appoggio alle ragioni degli allievi. Infatti, a mio parere potrebbe invece essere appoggiato qualsiasi fatto che consenta la fuga regolarmente pagata .
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Inizio una discussione accesa dove faccio presente che la libertà individuale finisce ove compromette quella del prossimo. Questo assunto piace poco.
Termino la mia permanenza con una richiesta: prendere le 18 ore di assistenza di Diletta, unirle a quella della sua compagna e garantire una copertura a casa. Un giorno da una e un giorno dell’altra, costruendo un bel progetto di relazione e confronto magari andando per mostre, dipingendo, realizzando un video sulla storia di qualche occupazione. Dita puntate, delle mani e dei piedi: mi sento rispondere il coro italiano che chiedo di privatizzare. Mi rimproverano dicendomi che mia figlia deve stare a casa. Paragonano il mancato diritto allo studio di Diletta con quello di ragazzi che possono scegliere.
Mi infurio e mi viene detto che dinanzi agli alunni non devo dire queste cose: mi accendo ancora di più: Che cosa? Se sono abbastanza grandi per occupare devono sapere bene cosa producono. Perché non lo sanno. Medito una forte provocazione: entrare a scuola chiedere a qualche volontario di salire su una sedia a rotelle, di coprirsi gli occhi e di non parlare e poi di simulare di non poter né capire bene né muovere le mani. Una ventina di minuti basterebbero. Capirebbe già di più. Poi vorrei parlare loro e spiegare quello che chi era titolato a farlo non ha mai fatto: la giornata tipo di un loro coetaneo disabile grave. Ma non la lagna del pietismo. La semplice realtà. La gioia e il dolore. Vorrei far capire loro che accanto all’alunno con disabilità non entrano professori e assistenti, ma pezzi mancanti dell’identità che fungono da voce, da occhi o da gambe.
Poi vorrei dire loro che le loro lotte non hanno senso se discriminano al pari della casta. Conoscono come vengono assegnati gli insegnanti di sostegno? E gli assistenti? E come si formano gli orari? E le aspettative? Hanno mai pensato che se a loro serve il laboratorio x, i fondi degli alunni con disabilità spesso servono a comprare la carta igienica? Occupare la scuola è reato. Però si fa. Discriminare è reato. Però si fa. E se invece usassimo l’occupazione per integrare? Servono genitori coraggiosi, o forse immaturi, o forse folli. Ma quanti genitori ora siedono convinti di avere i figli a scuola e invece hanno figli usciti senza nessun controllo?
E quanti di questi ragazzi che occupano conoscono gli strumenti legali per difendere concretamente i loro diritti? E quanti di questi ragazzi sono consapevoli che così facendo agevolano chi li vuole schiavi della società? Ridotti al baratro dell’ignoranza che porta schiavitù mentale. Sono indecisa: vorrei andare e mettermi in prima linea. Farli riflettere. Sono allo sbando, circondati da informazioni confuse, errate e ipocrite. Malamente ipocrite e soprattutto subdole. Che occupino se è il loro credo, ma devono farlo con consapevolezza reale. La scuola non ha polso. Loro non avranno polso. Mi chiedo: tutto questo meccanismo anti educativo e di politica indottrinante al contrario, dove porterà?
Fabiana Gianni
Attivista per i diritti dei disabili
Diritti - 19 Novembre 2013
Occupazione a scuola. E gli alunni con disabilità?
Questa mattina provo, per la prima volta sulla pelle, l’occupazione della scuola di Diletta. Mi avverte un’altra mamma che a sua volta è stata chiamata dall’assistente della propria figlia. Mi informa in buona sostanza che la scuola è occupata: professori, assistenti, collaboratori, tutti fuori.
Decido di capire, vado comunque a scuola. Scopro uno schieramento di adulti fuori dal cancello. Entro, e scopro altro schieramento che vocifera leggi personali del pianeta dell’ignoranza. Scorgo ragazzi che vanno via e tra di essi molti minorenni. Un folto numero rimane. Una mamma chiama la polizia di Stato. Lo faccio anch’io. Devo capire questa nuova dinamica. Trascorrono circa due ore di fotografia della nostra Italia: forze dell’ordine che riscontrano l’oggettiva grave discriminazione mentre si duella sullo scarico delle responsabilità che tocca la disabilità. Emerge il quadro che vi riporto:
Insegnanti di sostegno che comunicano di aver adempiuto al loro dovere avvisando per mezzo degli assistenti o in prima persona i genitori. Ma solo quelli di alunni con disabilità. Gli altri minori sono sorvegliati (speciali loro questa volta)
Alunni con disabilità grave e minori possono entrare e dovrebbero essere lasciati in custodia di altri alunni, per lo più minorenni perpetrando un regolarissimo abbandono di minore in condizione di grave disabilità.
Arriva dopo un po’ la Dirigente Scolastica che tenta una mediazione ovviamente fallita. Tentenna un po’ nel perseguire la via dello sgombero consapevole delle conseguenti denunce e delle successive responsabilità
Auto gestione, cogestione, occupazione: ognuno gioca a dire la sua verità legale mentre gli alunni con disabilità vengono spinti di fatto fuori dalla scuola.
Gli assistenti che perdono le ore stiano tranquilli: si recuperano. Non fa nulla se tre ore erano sufficienti. Ne avranno 5 per garantire la paga meritata.
I professori vanno a casa, e in molti sembrano più che soddisfatti e a mio avviso giocano malamente sulla ipocrisia manifesta dell’appoggio alle ragioni degli allievi. Infatti, a mio parere potrebbe invece essere appoggiato qualsiasi fatto che consenta la fuga regolarmente pagata .
Inizio una discussione accesa dove faccio presente che la libertà individuale finisce ove compromette quella del prossimo. Questo assunto piace poco.
Termino la mia permanenza con una richiesta: prendere le 18 ore di assistenza di Diletta, unirle a quella della sua compagna e garantire una copertura a casa. Un giorno da una e un giorno dell’altra, costruendo un bel progetto di relazione e confronto magari andando per mostre, dipingendo, realizzando un video sulla storia di qualche occupazione. Dita puntate, delle mani e dei piedi: mi sento rispondere il coro italiano che chiedo di privatizzare. Mi rimproverano dicendomi che mia figlia deve stare a casa. Paragonano il mancato diritto allo studio di Diletta con quello di ragazzi che possono scegliere.
Mi infurio e mi viene detto che dinanzi agli alunni non devo dire queste cose: mi accendo ancora di più: Che cosa? Se sono abbastanza grandi per occupare devono sapere bene cosa producono. Perché non lo sanno. Medito una forte provocazione: entrare a scuola chiedere a qualche volontario di salire su una sedia a rotelle, di coprirsi gli occhi e di non parlare e poi di simulare di non poter né capire bene né muovere le mani. Una ventina di minuti basterebbero. Capirebbe già di più. Poi vorrei parlare loro e spiegare quello che chi era titolato a farlo non ha mai fatto: la giornata tipo di un loro coetaneo disabile grave. Ma non la lagna del pietismo. La semplice realtà. La gioia e il dolore. Vorrei far capire loro che accanto all’alunno con disabilità non entrano professori e assistenti, ma pezzi mancanti dell’identità che fungono da voce, da occhi o da gambe.
Poi vorrei dire loro che le loro lotte non hanno senso se discriminano al pari della casta. Conoscono come vengono assegnati gli insegnanti di sostegno? E gli assistenti? E come si formano gli orari? E le aspettative? Hanno mai pensato che se a loro serve il laboratorio x, i fondi degli alunni con disabilità spesso servono a comprare la carta igienica? Occupare la scuola è reato. Però si fa. Discriminare è reato. Però si fa. E se invece usassimo l’occupazione per integrare? Servono genitori coraggiosi, o forse immaturi, o forse folli. Ma quanti genitori ora siedono convinti di avere i figli a scuola e invece hanno figli usciti senza nessun controllo?
E quanti di questi ragazzi che occupano conoscono gli strumenti legali per difendere concretamente i loro diritti? E quanti di questi ragazzi sono consapevoli che così facendo agevolano chi li vuole schiavi della società? Ridotti al baratro dell’ignoranza che porta schiavitù mentale. Sono indecisa: vorrei andare e mettermi in prima linea. Farli riflettere. Sono allo sbando, circondati da informazioni confuse, errate e ipocrite. Malamente ipocrite e soprattutto subdole. Che occupino se è il loro credo, ma devono farlo con consapevolezza reale. La scuola non ha polso. Loro non avranno polso. Mi chiedo: tutto questo meccanismo anti educativo e di politica indottrinante al contrario, dove porterà?
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Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Vogliamo il pilastro europeo dell'Alleanza atlantica e non lo delegheremo alla Francia e alla Gran Bretagna". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo. "Per avere i granai pieni -ha aggiunto- bisogna avere gli arsenali pieni, la difesa è la premessa della libertà e della democrazia".
Bruxelles, 18 mar. - (Adnkronos) - Le sedici aziende dell’Alleanza “Value of Beauty”, lanciata a febbraio 2024, hanno presentato a Bruxelles uno studio commissionato a Oxford Economics sull’impatto socioeconomico del settore. Il Gruppo L’Oréal, Kiko Milano, Beiersdorf, Iff, e altri grandi marchi dell’industria vogliono inserirsi nello spiraglio aperto dalla Commissione europea per favorire la semplificazione normativa in vari ambiti, e per chiedere un dialogo strategico sul futuro del settore, come già successo per agricoltura e automotive.
Il settore guarda con attenzione alle proposte su una legge europea vincolante per le biotecnologie e alla strategia per la bioeconomia, che la Commissione si impegna a presentare entro la fine dell’anno. Ma guarda con attenzione anche agli sviluppi nelle relazioni commerciali in Occidente alla luce della recente entrata in vigore dei dazi di Washington sull’import dall’Unione europea.
“Cinque delle sette più grandi aziende del settore hanno la loro sede nell’Ue”, ha sottolineato l’amministratore delegato del Gruppo L’Oréal, Nicolas Hieronimus.
A Bruxelles i sedici membri dell’Alleanza chiedono politiche per la produzione sostenibile di ingredienti e la formazione di personale per sbloccare il potenziale del settore. Un aspetto legato, secondo l’amministratore delegato di Kiko Milano, Simone Dominici, all’impatto positivo che la cura del corpo e dell’estetica ha sull’autostima e sulla salute mentale dei consumatori. Aspetti non trascurati dallo studio dell’Oxford Economics presentato all’ombra dei palazzi delle istituzioni europee. Il rapporto mostra che la spesa dei consumatori nell’Ue per i prodotti di bellezza e cura della persona ha superato i 180 miliardi di euro e dato lavoro a oltre tre milioni di persone, un numero che supera il totale della forza lavoro presente in 13 Stati membri dell’Ue. Troppi anche gli oneri per l'industria della cosmetica che rendono necessaria una revisione della direttiva sulle acque reflue. Forte dei 496 milioni di euro generati ogni giorno e dei 3,2 milioni di posti di lavoro, la cordata dei grandi nomi dell’industria della bellezza chiede che tutti i settori che contribuiscono ai microinquinanti nelle acque siano ritenuti responsabili, in linea con il principio “chi inquina paga”.
I riflettori dell’Alleanza, che guarda anche agli interessi di tutti gli attori della filiera - dagli agricoltori ai vetrai, importanti nella catena del valore quanto le case di fragranze - sono rivolti in primis sull’attesa revisione del regolamento Reach (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals), che regolamenta le sostanze chimiche autorizzate e soggette a restrizione nell’Unione europea. L’Alleanza chiede che a questa iniziativa, annunciata nel 2020 come parte del pacchetto sul Green deal, si aggiunga anche una revisione del regolamento sui prodotti cosmetici.
L’appello ha come obiettivo la riduzione degli oneri amministrativi e lo stimolo all'innovazione, senza sacrificare l’approccio basato sul rischio per la salute e la responsabilità per la tutela dell’ambiente. Trasmette ottimismo l’iniziativa della Commissione di considerare delle esenzioni per alcune imprese colpite dalla direttiva della diligenza dovuta che imponeva oneri considerati sproporzionati alle piccole e medie imprese, la colonna portante del settore.
“Vogliamo impiegare più tempo alla sostenibilità, piuttosto che alla rendicontazione amministrativa”, è stato l’appello degli amministratori delegati durante la conferenza stampa che ha preceduto gli incontri istituzionali al Parlamento europeo, tra cui quello con la presidente dell’istituzione, Roberta Metsola. Lo studio presentato dimostra che una parte consistente della cura per la sostenibilità ambientale passa anche dalla cosmetica. L’Oréal ha già annunciato che entro il 2030 il 100% della plastica utilizzata nelle confezioni sarà ottenuta da fonti riciclate o bio-based.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Mandare soldati in Ucraina mentre ci sono i bombardamenti è una pazzia e l'Italia non farà questa scelta". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Gli inglesi sono usciti dall'Europa e adesso ci convocano una volta a settimana, facessero domanda per rientrare nell'Unione europea". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Dei Servizi segreti non si parla nell'Autogrill, si parla nel Copasir, io all'Autogrill ci vado a comprare il panino". Lo ha affermato il capogruppo di Forza Italia al Senato, Maurizio Gasparri, nella dichiarazione di voto sulle risoluzioni presentate sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
Roma, 18 mar. (Adnkronos) - "Da oggi sono autorizzato a dire che la Meloni non smentisce l'utilizzo di intercettazioni preventive nei confronti di un giornalista che attacca il Governo. È una cosa enorme, che ha a che fare con la dignità delle Istituzioni. Se non vi rendete conto che su questa cosa si gioca il futuro della libertà, allora sappiate che c'è qualcuno che lascia agli atti questa frase, perchè quando intercetteranno voi, in modo illegittimo, con i trojan illegali, saremo comunque dalla vostra parte per difendere il vostro diritto di cittadini, mentre voi oggi vi state voltando dal'altra parte". Lo ha affermato Matteo Renzi nella sua dichiarazione di voto sulle risoluzioni sulle comunicazioni al Senato del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in vista del prossimo Consiglio europeo.
"Giorgia Meloni va al Consiglio europeo senza una linea, senza sapere da che parte stare, senza aver avuto il coraggio di rispondere a quella frase che lei stessa aveva detto: 'come diceva Pericle la felicità consiste nella libertà e la libertà dipende dal coraggio'. Se la felicità e la libertà dipendono dal coraggio, Giorgia Meloni -ha concluso l'ex premier- non è felice, non è libera".