Il sostituto procuratore della Cassazione ha avanzato la richiesta di un anno e quattro mesi di reclusione per i due imputati, come stabilito dalla sentenza della Corte d'appello. L'accusa è di aggiotaggio informativo per l'operazione di equity swap che consentì alla "cassaforte" degli Agnelli di mantenere il controllo del Lingotto. Il verdetto è atteso in serata
Un anno e quattro mesi di reclusione più 600mila euro di multa. Per Gianluigi Gabetti, presidente onorario di Exor ed ex presidente di Ifil, e Franzo Grande Stevens, legale della famiglia Agnelli, è stata chiesta la conferma della condanna per aggiotaggio informativo pronunciata dalla Corte d’appello. Al centro della vicenda giudiziaria, l’operazione di equity swap che nel 2005 permise alla finanziaria degli Agnelli di mantenere il controllo su Fiat. La richiesta è stata avanzata dal sostituto procuratore della Cassazione, Pietro Gaeta, all’udienza del processo Exor-Ifil in corso dinanzi alla prima sezione penale. Il verdetto è atteso in serata.
E’ la seconda volta che la vicenda che riguarda la “cassaforte” degli Agnelli approda alla suprema corte, dopo che, il 20 giugno 2012, gli ermellini avevano annullato l’assoluzione di Gabetti e Grande Stevens. In seguito a quella decisione, la corte d’appello di Torino, nel secondo giudizio di appello, condannò i due imputati, il 21 febbraio 2013, ribaltando l’assoluzione di primo grado. L’appello bis escluse, però, il diritto al risarcimento in favore della Consob e di due piccoli azionisti, che hanno fatto ricorso in Cassazione, così come i legali dei due imputati. Ad avviso del pg Pietro Gaeta, il verdetto dell’appello bis “non propone argomenti frutto di errate considerazioni e il lavoro svolto dai giudici del rinvio non si è limitato ad una verifica empirica”. Per questo, la sentenza “è da confermare e vanno dichiarati inammissibili i ricorsi dei due imputati e infondati quelli delle parti civili”.
Il reato contestato è stato commesso in occasione dell’operazione di equity swap, che nel settembre 2005 consentì alle finanziarie della famiglia Agnelli di mantenere il controllo della Fiat. L’imputazione di aggiotaggio informativo si riferisce ad un comunicato pubblicato il 24 agosto 2005, in base al quale si confermava la volontà di Ifil di restare azionista di riferimento della Fiat e si diceva che non c’erano allo studio iniziative sul titolo del Lingotto. In questa maniera però – sostiene l’accusa – hanno manipolato il mercato ingannando gli azionisti e l’autorità di controllo, la Consob. Oltre a Gabetti e Grande Stevens, erano coinvolte come persone giuridiche le società Ifil (divenuta Exor) e la accomandita Giovanni Agnelli Sapaz.
“E’ già scattata la tagliola della prescrizione” ha sottolineato il professor Franco Coppi che difende Gabetti. Proprio la maturata prescrizione ha spinto il sostituto procuratore della Cassazione Pietro Gaeta a chiedere la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi di Gabetti e Franzo Stevens, tesi che se venisse accolta dalla Prima sezione penale impedirebbe il passaggio in giudicato della prescrizione scattata tre giorni dopo il verdetto di appello bis conclusosi lo scorso 21 febbraio. Se invece la Cassazione si limitasse a respingere i ricorsi, allora la prescrizione diventerebbe definitiva.
Ad avviso di Coppi, comunque, la posizione di Gabetti deve essere distinta da quella di Grande Stevens “per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo”. Per Gabetti, ha insistito Coppi, “non c’era alcun motivo di ritenere che il comunicato potesse fuorviare il mercato, termine troppo generico per cui sarebbe meglio parlare dell’azionista ragionevole. Il comunicato confermava l’impegno di Ifil, e dunque della famiglia Agnelli, a mantenere il controllo di Fiat con in mano il 30% delle azioni: non ha nessuna importanza se il comunicato non ha parlato delle iniziative con le quali si prefiggeva questo obiettivo”. Per queste ragioni Coppi ha chiesto l’annullamento senza rinvio della condanna di Gabetti, o la dichiarazione di prescrizione o l’intervento della Consulta per l’indeterminatezza del reato di aggiotaggio informativo che, così come è delineato, finisce per punire “gli effetti virtuali della condotta”.