I ricercatori del Cnr hanno messo in rilievo la correlazione fra bimbi malati e i valori elevati di SO2 nell'aria. I comitati cittadini chiedono al sindaco una indagine epidemiologica per stabilire la responsabilità delle centrali e del petrolchimico che gravitano attorno alla città
Quando nel dicembre 2012 i ricercatori dell’istituto di fisiologia clinica del Cnr di Lecce, Pisa e Bologna pubblicarono lo studio sulle malformazioni congenite a Brindisi sapevano già che quello non era che un tassello. Mancava una risposta al “perché?” nella città pugliese tra il 2001 e il 2010 fossero nati più bambini con malformazioni rispetto alla media europea e ai comuni limitrofi. Il problema ambientale era solo ipotizzato e restava da sbrogliare quel 17 per cento di malformazioni neonatali in più, che diventa 49 per i disturbi cardiaci. Si sono rimessi al lavoro e hanno seguito le tracce degli inquinanti per scoprire se dietro quei 194 casi (83 riguardanti il cuore) si nascondesse o no l’inquinamento atmosferico, “in una città che in una manciata di chilometri ha due centrali a carbone, gestite da A2A Edipower ed Enel, e un polo petrolchimico nel quale operano le industrie chimiche Basell, Syndial e Versalis”, afferma Riccardo Rossi, consigliere comunale della lista civica Brindisi Bene Comune.
La ricerca
Gli autori hanno trovato una possibile risposta nella SO2, sigla apparentemente innocua del diossido di zolfo che già alcuni studi scientifici ritengono causa delle malattie congenite, in particolare del cuore. Un elemento che si sprigiona anche dalla combustione di petrolio e carbone. Lo studio condotto dal team leccese in collaborazione con il reparto di neonatologia dell’ospedale Perrino di Brindisi – e di prossima pubblicazione sulla rivista scientifica americana Environmental Research – ha estratto casualmente le schede di dimissioni di quattro neonati sani per ogni bambino nato con una malformazione al cuore.
“La città vuole chiarezza”
Una necessità che i brindisini avevano manifestato già nella primavera del 2012 quando raccolsero diecimila firme per chiedere a Comune, Provincia, Regione e Asl di finanziare un’indagine epidemiologica. Le firme furono poi consegnate al sindaco di centrosinistra Cosimo Consales – da poco indagato per violazione della normativa antiriciclaggio e ricettazione – che alcuni mesi dopo in un incontro con il gruppo di mamme-attiviste Passeggino Rosso disse: “Finanzieremo l’indagine. Anzi, perché aspettare il prossimo bilancio? Muoviamoci prima”. Era il 14 febbraio 2013. L’estate e passata ed è arrivato il tempo del bilancio di previsione, che verrà discusso in consiglio comunale il 28 novembre. Ma nessuna voce di spesa è dedicata all’indagine epidemiologica. “E’ una incredibile e pesantissima mancanza di attenzione verso quei diecimila cittadini che l’hanno richiesta – attacca Riccardo Rossi – Il finanziamento dell’indagine epidemiologica comporta una previsione di spesa di 100mila euro, ben poca cosa rispetto alle sagre paesane e agli improbabili gemellaggi inseriti in bilancio”.
Quei centomila euro potrebbero stabilire se nei quartieri vicini alla zona industriale la situazione sanitaria è peggiore che nelle aree meno esposte alle emissioni del polo chimico-energetico. “Evidentemente l’indagine epidemiologica spaventa – continua Rossi – conoscere il reale stato di salute della popolazione allarma poiché imporrebbe decisioni importanti per salvaguardare la salute dei cittadini. A partire dalla bocciatura del piano A2A Edipower per impedire di bruciare rifiuti in città, oltre a imporre subito una forte riduzione del carbone bruciato da Enel e avviare la indispensabile trasformazione a gas della centrale”.
Il sindaco, contattato telefonicamente da ilfattoquotidiano.it, dice “che l’indicazione è stata chiara. E anche se non spetterebbe a noi finanziare l’indagine ma all’Asl, porremo rimedio alla svista con un emendamento in consiglio”. Di ritardo in ritardo, Brindisi aspetta da vent’anni di ottenere risposte e rispetto degli impegni. Un esempio per tutti: “La centrale a carbone A2A Edipower, costruita negli anni ’60 e situata a 800 metri dal centro abitato, avrebbe dovuto chiudere nel 2004 in virtù di un accordo del 1996 firmato da governo ed enti locali – conclude Rossi – è ancora lì e lo scorso maggio ha presentato un piano per bruciare anche il Css, l’ex combustibile da rifiuti”.