Il presidente Napolitano è riuscito a imporre la sua linea al Pd. Ma la scelta di Enrico Letta di legare il destino del governo a quello di Annamaria Cancellieri, oltre che sbagliata, è poco o nulla saggia. Non solo per la telefonata del 17 luglio alla compagna di Salvatore Ligresti, in cui la ministra piagnucolava “non è giusto”, mentre la Finanza cercava ancora Paolo Ligresti, fuggito in Svizzera. Non solo per le raccomandazioni a favore di Giulia o per l’interrogatorio lacunoso sui rapporti con Antonino. Il rischio per il governo non sta in quello che già si sa, ma in quello che il ministro non ci ha raccontato e che i Ligresti potrebbero improvvisamente ricordare.
A cosa allude Gabriella Fragni quando rammenta ad Annamaria Cancellieri la chiacchierata nella cascina dei Ligresti, quando le due amiche parlarono di quel “maledetto periodo” in cui il figlio della ministra lavorava in Fonsai? Cosa si dicono esattamente nei 13 minuti di conversazione non registrati Annamaria e l’amico Antonino Ligresti? Cosa dice il figlio della ministra, Piergiorgio Peluso, o la stessa Giulia Ligresti nelle telefonate intercettate a settembre e non ancora depositate?
La fiducia al ministro e al governo resta appesa a troppe domande e a troppe inchieste aperte in ben tre procure della Repubblica. Un assaggio si è avuto ieri. Mentre la ministra scandiva in Parlamento: “Non ho contratto debiti di riconoscenza verso nessuno”, le agenzie di stampa pubblicavano le dichiarazioni di Salvatore Ligresti sulla sua raccomandazione a Berlusconi in favore dell’amica. Finché Annamaria Cancellieri resterà al suo posto, i giornali andranno a caccia di intercettazioni e verbali come questo. E pubblicheranno interviste come quella del quotidiano La Stampa all’ex direttore degli hotel dei Ligresti, Antonio Cavaletto, che cita di passaggio, tra gli ospiti più pesanti del Tanka Village, “un prefetto morto due anni fa del quale preferisco non fare il nome”. Forse perché è scomparso e non può dire: “Ho pagato”. O forse perché lo chiamavano tutti “il prefetto del Quirinale”.
Il Fatto Quotidiano, 21 novembre 2013