Chi segue Diego Bianchi (Zoro) dai tempi del blog e dei video di Tolleranza Zoro su YouTube, ormai fissa attonito lo schermo del televisore durante le tre puntate settimanali di Gazebo (martedì, mercoledì e giovedì in seconda serata su RaiTre) e si chiede, perplesso e sgomento: “Ma dov’è Zoro?”. Già, perché dell’approccio geniale alla sinistra italiana che Bianchi, da insider, aveva sfoggiato negli anni scorsi, si è ormai persa traccia. In tv, su un canale nazionale (mica su TeleAmbiente o T9), non poteva bastare. E infatti non è bastato. Anzi, nel tentativo di snaturare un format che funzionava benissimo sul web (e in parte anche come rubrica di Parla con me), è sparito anche quello.
Gazebo è ormai un programma condotto da Zoro, ma senza Zoro. Un paradosso televisivo che somiglia sempre più a un salotto romano di radical chic, sinistri in piena crisi di identità, che continuano indefessamente ad autoanalizzare il loro fallimento politico e culturale, che parlano tra loro di cose che al resto del Paese, giustamente, non interessano minimamente. E’ un continuo susseguirsi di inside jokes per pochi eletti, che sono di difficile comprensione non solo al di fuori del Raccordo anulare, ma anche fuori le Mura Aureliane.
La scorsa stagione il format funzionava ancora, complice il marasma di sconvolgimenti politici seguiti alle elezioni politiche di febbraio, ma in epoca di grandi intese la videocamera di Zoro sembra aver perso la sua carica irriverente. Anche perché, in realtà, i video confezionati alla perfezione dallo Zoro che fu hanno lasciato il campo a dieci, quindici minuti di riprese di scarsa importanza, spesso effettuate dalle comode poltrone della tribuna stampa del Parlamento, mica più al Serpentone o alla sezione del Pd di Via La Spezia! Di difficile digestione anche la presenza a mo’ di prezzemolo di Marco Damilano, ingaggiato, a quanto pare, solo per dimostrare di sapere tutto lo scibile della politica italiana, snocciolare nomi e cognomi di peones parlamentari e di infarcire il tutto con freddure da Circolo Polare Artico. Damilano è per Gazebo quello che Massimo Alfredo Giuseppe Maria era per Quelli che il calcio di Fabio Fazio: il precisetti, che sa tutto a memoria ed è sempre pronto a correggerti. “Per la precisione”, appunto.
Zoro, invece, smanetta su un pulsante che blocca e fa ripartire l’RVM, buttando qui e là un inciso o una battuta, scialbo ricordo del genio che fu. Non funziona più, il giocattolino satirico democrat, e forse Bianchi dovrebbe avere il coraggio di rinunciare al raggiunto tepore salottiero e tornare per strada, a raccontare la mitologica “base”. Di Gazebo, o almeno del Gazebo di questa stagione, salviamo soltanto le graphic novel satiriche di Makkox, forse il miglior disegnatore degli ultimi anni. Il resto, ormai, è tutto “dibbbatito”, quello con tre B, che si fa(ceva) nelle sezioni del Pci prima e del PDS e dei Ds poi. Ma nel frattempo è cambiato tutto: la politica, la sinistra, la tv. Diego Bianchi può e deve fare di meglio. Per cominciare, basterebbe che Gazebo fosse intellegibile anche a Viterbo o a Latina. Un piccolo passo per Zoro, un grande passo per i telespettatori.