Nelle motivazioni della sentenza i giudici spiegano che la notte del 27 maggio 2010 le pressioni dell'allora premier per liberare la "nipote di Mubarak" furono tali da far temere al dirigente Ostuni "per la sua carriera". Da qui la pesante condanna a sette anni, in base alla nuova formulazione della legge
“Concussione per costrizione“. E’ questo il reato che costa a Silvio Berlusconi la parte più pesante della condanna a sette anni di reclusione per il processo Ruby, le cui motivazioni sono state depositate oggi dai giudici di Milano. Già in linea con la “nuova formulazione” introdotta nel novembre 2012 dalla nuova legge anticorruzione, si legge nella sentenza, sui cui problemi interpretativi si deve ancora pronunciare la Corte di Cassazione. Nella famosa notte tra i 27 e il 28 maggio 2010, secondo i giudici l’allora presidente del consiglio non ha solo indotto, ma ha letteralmente costretto il capo di gabinetto della Questura di Milano Piero Ostuni a darsi da fare perché la giovane marocchina fosse lasciata andare. Perché Ostuni si rese conto che avrebbe rischiato la carriera se non avesse dato seguito alle indicazioni del capo del governo. La prova? Quando Ostuni capì che la giovane Karima el-Marough non era affatto la nipote dell’allora presidente egiziano Mubarak, come invece sosteneva al telefono Berlusconi paventando incidenti diplomatici, non fece nulla per interrompere la catena di ordini che avrebbe portato ad affidare la minorenne alla prostituta Michelle Conceicao, per il tramite della consigliera regionale Nicole Minetti.
“Deve ritenersi” che il premier “intervenne pesantemente sulla libertà di autodeterminazione del capo di gabinetto e, attraverso il superiore gerarchico, sul funzionario in servizio quella notte in Questura (…) al fine di tutelare se stesso”, scrive il presidente del collegio Giulia Turri, “evitando” che Ruby “svelasse l’attività di prostituzione” ad Arcore. Per questo motivo sei anni sui sette anni inflitti all’imputato sono per il solo reato di concussione. “Il presidente del Consiglio dei ministri ha chiamato nel cuore della notte il capo di gabinetto per chiedere la liberazione” di Ruby “al fine di ottenere per sé un duplice vantaggio”, si legge ancora nelle motivazioni. “Da un lato la ragazza veniva in tal modo rilasciata” in modo da poter “continuare indisturbata a frequentare la privata dimora di Arcore e dall’altro (Berlusconi, ndr) evitava che la stessa potesse riferire alle forze dell’ordine e alle assistenti sociali di aver compiuto atti sessuali a pagamento con lo stesso imputato, garantendosi così l’impunità”.
E’ per evitare lo scandalo che Berlusconi deve fare di tutto per togliere Ruby dalle mani dei poliziotti, prima che dettagli imbarazzanti delle notti di Arcore finisseo magari in un verbale: “Il fatto che Berlusconi” segnalasse “una presunta parentela di El Mahroug Karima con il presidente Mubarak, lungi dal fare ritenere che l’imputato abbia così esercitato sul dott. Ostuni un’opera di suggestione o di persuasione blanda, è – al contrario – indice sintomatico della forte coazione psicologica partita dal capo di Gabinetto, in quanto si trattava di una circostanza macroscopicamente non veritiera di cui Berlusconi era perfettamente consapevole”. Nonostante avesse rapidamente compreso che Ruby non era la nipotina di Mubarak il dirigente continuò a insistere perché il funzionario di turno, il commissario Giorgia Iafrate, consegnasse la ragazza a Nicole Minetti. La “frottola” era stata compresa, ma Ostuni – un poliziotto, dunque dipendente del ministero dell’Interno – aveva un “palese timore” che opponendosi alla richiesta avrebbe rischiato la carriera. Berlusconi, abusando della propria qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, costrinse Pietro Ostuni a dare disposizioni ai funzionari della Questura di Milano di rilasciare” Ruby.