Qualcuno potrà pensare che abbia scoperto l’acqua calda. A me piace pensare di aver scoperto un tè. Quando la scorsa estate passeggiavo sotto i portici di Via Fondazza a Bologna insieme a mia moglie ed a mio figlio Matteo di venti mesi, pensavo se nella mia strada abitassero altri bambini con cui farlo giocare. Vivo in una storica strada di Bologna, residenza del noto pittore Giorgio Morandi, da oltre tre anni eppure non conoscevo nessuno.

Sono nato e cresciuto in un piccolo paese della provincia di Lucca e nella mia strada conoscevo proprio tutti, se mancava il sale non era un problema scendere le scale e suonare al vicino. Poi, circa dieci anni fa, mi sono trasferito in città, a Bologna, e mi sono reso conto che il meccanismo di relazione umana era differente, c’era molto più diffidenza, sospetto, a volte indifferenza. Per conoscere qualcuno potevi usare il giro dei colleghi di lavoro, gli amici della palestra e, pensavo, perché non i vicini di casa?

Camminando per Via Fondazza ogni tanto sentivo le urla di qualche bambino quindi immaginavo che dietro quelle pareti, dietro quei portoni, si nascondessero tante storie. Il problema era come entrare in contatto con loro. Così mi sono consultato con mia moglie ed abbiamo optato per una scelta a costo zero, aprire un gruppo chiuso Facebook chiamandolo “Residenti in Via Fondazza – Bologna”. Il problema a quel punto stava nel farlo conoscere e così con la mia stampante mi sono messo a stampare cinquanta fogli A4 dove spiegavo la mia volontà di socializzare, condividere idee, progetti, necessità, come una sorta di bacheca stradale.

Ho iniziato così ad appendere queste locandine in luoghi visibili, vicino ai cassonetti dei rifiuti, sotto i portoni, nelle buche delle lettere, agli angoli della strada e qualche negoziante mi ha aiutato ad esporla nella sua vetrina. Onestamente pensavo che al mio gruppo non avrebbero aderito più di trenta persone, ma ritenevo questo già un successo. Volevo ricreare quel senso di comunità che avevo nel mio paese ma che in città non ero riuscito ad ottenere, anche perché, lavorando molto, il tempo per socializzare in strada era limitato veramente a poche ore.

Facebook poteva aiutarmi a risolvere il problema ed avevo ragione. La prima settimana di settembre ho creato il gruppo Facebook ed in due settimane gli iscritti erano già 93. In Via Fondazza in effetti c’erano altri bambini, mamme che condividevano i miei pensieri e le mie necessità e così abbiamo iniziato l’esperimento. Famiglie appena trasferite che chiedevano un pediatra nelle vicinanze. Qualcuno voleva sapere se c’erano bambini per organizzare playgroup magari in lingua. Un’altra famiglia appena trasferita in attesa del primo figlio chiedeva se qualcuno avesse un seggiolino auto da prestare. E per ogni richiesta c’era una risposta. Grazie a questi spunti di socialità, sono nate poi amicizie: per passare dal virtuale di Facebook al reale della strada è bastato poco, ovvero scendere le scale.

Il gruppo è cresciuto esponenzialmente, oggi siamo oltre cinquecento persone e scopro ogni giorno le potenzialità che la socialità può offrire in supporto alla comunità.  Ho ricevuto moltissime richieste per replicare l’esperienza “Social street” da tutta Italia ma anche dall’estero, dalla Spagna e dal Cile. Il 17 novembre in conferenza stampa, insieme a Loretta Napoleoni ho lanciato ufficialmente il “Social street” ed il portale www.socialstreet.it che racchiude le varie esperienze che stanno nascendo in Italia. Cosa vuol dire Social street? Molto semplice, socializzare con i propri vicini di casa per instaurare un rapporto di fiducia. E’ vero, si può pensare che abbia scoperto l’acqua calda ma credetemi, in questo momento, nella nostra società siamo in un deserto sociale dove anche l’acqua si trova con difficoltà. 

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