I diversi cortei convogliati a Mohamed Mahmoud Street erano composti per lo più da studenti, membri del movimento “6 Aprile” e del partito dei Socialisti Rivoluzionari. I loro slogan e i loro canti erano tutti diretti contro il regime militare del generale al-Sissi e anche contro la Fratellanza Musulmana: “Abbasso il regime militare”, “Contro al-Sissi, contro i Fratelli Musulmani, viva la rivoluzione”. All’ingresso della strada campeggiava persino un grande striscione che vietava l’ingresso ai Fratelli Musulmani e ai militari.
La manifestazione si è rivelata un successo, nonostante i plurimi tentativi dei militari di impedirla o boicottarla. Prima, l’esercito ha tentato di indire una manifestazione commemorativa, in salsa militare, nel giorno del massacro di Mahmoud Street. Poi, hanno rincarato la dose, stabilendo per lo stesso giorno della manifestazione indetta dai rivoluzionari, l’inaugurazione del monumento ai martiri, costruito dagli stessi militari. Infine, adottando anche la strategia della distrazione di massa, hanno installato dei maxischermi in piazza Tahrir per la trasmissione della partita Ghana-Egitto.
Tutte le iniziative dei militari, però, sono miseramente fallite: la loro manifestazione è andata quasi deserta, il monumento è stato distrutto dai manifestanti, i tifosi della nazionale hanno preferito partecipare alla manifestazione che si svolgeva pochi metri più in là. La strada, ancora una volta, è tornata ad essere nelle mani dei rivoluzionari.
Perché è importante segnalare questa manifestazione ora? In primo luogo per comunicare che la rivoluzione non è morta e che è ancora in piedi, perché vi sono in Egitto forze sociali e politiche che continuano ancora a credere e a combattere per realizzare gli obiettivi della sollevazione del 2011: “pane, libertà, giustizia sociale”. In secondo luogo, per riportare al centro della discussione l’esistenza di questa significativa e, perché no, grande parte dell’Egitto, che resta sempre sconosciuta o sottovalutata in alcune analisi politiche.
Da quando, infatti, avvenne il massacro dei Fratelli Musulmani da parte dell’esercito, verso metà luglio, l’analisi politica sulla situazione in Egitto si è quasi esclusivamente focalizzata sulla contrapposizione tra Fratelli ed esercito. In effetti, bisogna anche riconoscere, che i Fratelli Musulmani, da allora, sono scesi in piazza ogni settimana, o anche più volte, per denunciare l’illegittimità del governo militare. La repressione dell’esercito, del resto, è stata estremamente violenta: 1000 morti o più e migliaia di arresti tra tutti i principali leader (i Fratelli sostengono che più di 10.000 dei loro membri sono stati arrestati negli ultimi mesi).
La feroce propaganda di quasi tutti i media statali contro i Fratelli (con le Tv che addirittura organizzavano delle finte molestie perpetrate da uomini con la barba nei confronti di passanti per strada – specie se donne – al fine di diffondere paura e odio nei confronti di tutti i membri dei Fratelli) e gli episodi di terrorismo dei gruppi islamisti nel Sinai, non hanno fatto che aumentare l’odio popolare nei confronti dei Fratelli; odio, tra l’altro, già maturato durante il fallimentare anno di governo di Morsi. Tutto ciò ha spinto i vertici dei Fratelli a negoziare con i militari un’uscita pacifica dalla scena politica egiziana e, allo stesso tempo, ha consentito ai militari di sferrare nuovi attacchi contro la libertà e contro gli scioperi, con il pretesto – vecchio come il mondo – della “lotta contro il terrorismo”.
Infatti, a partire da fine ottobre 2013, è stata introdotta una legislazione che limita il diritto di manifestare, il diritto di sciopero e prevede persino il carcere per chi riempie i muri di graffiti; non pochi giornalisti sono stati condannati soltanto per aver osato criticare i militari. Persino il famoso comico egiziano, Bassem Youssef, è stato sottoposto a processo penale per aver usato la sua satira nei confronti dei militari. Ma la violenza più estrema i militari l’hanno esercitata contro i lavoratori, reprimendo violentemente molti scioperi (che nonostante tutto continuano con grande coraggio e, talvolta, con successo), dal 3 luglio ad oggi. Durante l’ultimo sciopero, ovvero quella della fabbrica tessile di Samanoud, a Gharbiya, gli operai, che erano in sciopero da tre settimane per chiedere il miglioramento delle condizioni di lavoro, sono stati violentemente attaccati dalla polizia ed il 16 Novembre scorso decine di loro sono stati arrestati.
E’ in questo clima politico che i rivoluzionari egiziani sono tornati nuovamente ad occupare le strade. Le condizioni per un loro ritorno e un nuovo successo, del resto, ci sono tutte: la “ritirata” strategica dei Fratelli non alimenta più il sospetto tra la popolazione su un eventuale “sostegno” dei rivoluzionari alla causa della Fratellanza; l’inflazione galoppante, del 11,5%, sta portando la popolazione egiziana all’esasperazione e alla fame; e, per di più, ogni giorno che passa si diffonde la rabbia popolare contro il governo dei militari, fatto di violenza e repressione, in piazza come in fabbrica.
Sfidando, infatti, le ultime leggi repressive contro le manifestazioni, in migliaia sono scesi di nuovo in piazza il 26 ottobre scorso. Il 6 novembre è stato il turno degli Ultras che hanno protestato contro l’arresto di alcuni loro membri. Il 16 novembre, Ahmed Harara, attivista rivoluzionario, ha apertamente attacco in Tv il temutissimo generale al-Sissi, definendolo, senza giri di parole, “un criminale”, oltre che responsabile dei massacri del mese di novembre 2011, a Mohamed Mahmoud Street.
Il clima politico si sta rapidamente riscaldando in Egitto.