I commenti sono impietosi: “Ha la faccia come il c…”; “E’ uno schifo…”; “Razza porcella sarebbe più consono”. Basta l’annuncio del ritorno di Piero Marrazzo in tv per scatenare la cagnara del web. Anche il titolo diventa un facile pretesto di polemica, perché pone l’accento sull’umanità, e chissà – si sospetta – che in maniera subliminale non se ne voglia evocare la debolezza. La troppo umana debolezza. Il sostantivo “razza” potrebbe perfino sembrare un errore, perché nelle classificazioni biologiche quella dell’uomo non è propriamente una “razza” ma una specie: l’“homo sapiens”. Tuttavia è chiaro che si allude ad Einstein: “Appartengo all’unica razza che conosco: quella umana”.

Ed è solo l’antefatto: l’eco che in questo caso precede e non segue l’evento, una risonanza emotiva anticipata, considerata la natura del “caso Marrazzo”, col giornalista, divenuto governatore del Lazio, travolto da una vicenda privata – che le sue prime dichiarazioni pubbliche smentivano – condita da trans, droga, ricatti e morti sospette, da cui personalmente è stato scagionato, ma dai contorni giudiziari ancora oscuri. Un programma televisivo, tuttavia, va giudicato per quello che è. E Razza umana, con cui Marrazzo torna a condurre in tv a distanza di molti anni, è tra le cose migliori partorite dalla disastrata Rai2 (mercoledì, 23.30), di recente. Testi, temi, scene, grafica, conduzione: tutto funziona, sebbene lo share sia sordo e dopo l’esordio sul 5%, registri nella seconda un modesto 3.75%.

L’impianto narrativo è monografico, con un’articolazione a raggiera, simile a una mappa concettuale. Mercoledì si è raccontato il mondo visto con gli occhi della paura. In apertura, le parole ispirate dello scrittore napoletano Raffaele La Capria sul gigante Vesuvio, accidioso e insonne, che potrebbe eruttare la propria rabbia in qualsiasi momento, generando una potenza distruttiva maggiore di una bomba nucleare. Ecco poi un filmato delle paure di padri e madri troppo apprensivi (in qualche caso giustamente tali) che tappezzano la propria casa di videocamere, per controllare le tate dei loro figli, anche senza informarle. Non è legale, ma in Francia è servito a smascherare una baby-sitter che malmenava un bambino di due anni: lo schiaffeggiava, gli legava mani e polsi, minacciava di buttarlo dalla finestra.

Lei stessa, dopo aver scontato il carcere, ha confessato di non sapere perché lo facesse e che, qualora non fosse stata fermata, sarebbe potuta andare oltre. Quindi un video di una scuola a sud del Texas. Un’operazione di polizia, a sorpresa. Coi ragazzi del Liceo fatti allontanare dalle aule e allineati nei corridoi, e un metal detector simile a quello degli aeroporti che li scansiona da capo a piedi. Mentre gli agenti frugano negli effetti personali, giustificandosi: “Nulla di illecito, è tutto autorizzato”, per verificare che non ci siano armi o sostanze stupefacenti. In studio, in alternanza coi video, Marrazzo interroga degli ospiti. Tra questi, Paola Cortellessa, un’insegnante del quartiere napoletano di Scampia, cui il conduttore chiede un commento su quanto appena visto: “Che cosa troverebbe la polizia negli zaini dei suoi ragazzi?” La risposta: “Quaderni, matite e poco altro. Non libri, perché costano troppo”.

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