È arrivato a Bruxelles a maggio e vuole restarci. Fabrizio Bertot, europarlamentare Pdl ed ex sindaco di Rivarolo Canavese (Torino), ha annunciato l’intenzione di ricandidarsi alle elezioni europee nella prossima primavera. Non sarà facile. Il ministero dell’Interno ha avviato al tribunale di Ivrea un procedimento di incandidabilità perché Bertot è il sindaco di un Comune sciolto per le infiltrazioni della ‘ndrangheta, una conseguenza dell’indagine “Minotauro” che ha portato a galla un caso di presunto voto di scambio politico-mafioso a suo favore nella campagna elettorale delle Europee 2009. Inoltre su di lui la Procura di Torino dovrà compiere nuovi accertamenti.
L’ex sindaco di Rivarolo sarebbe stato il beneficiario delle azioni di Antonino Battaglia, segretario comunale, e Giovanni Macrì, imprenditore. Secondo la Procura di Torino avrebbero promesso 20mila euro in cambio dei voti della “rete dei calabresi”, attivati da alcuni esponenti della ‘ndrangheta, tra cui il presunto boss di Cuorgné Bruno Iaria e suo zio Giovanni (un passato da esponente socialista e da sorvegliato speciale, ritenuto il raccordo tra ‘ndrangheta, politica e imprenditoria), dopo incontri avvenuti nel Bar Italia del boss Giuseppe Catalano. Bertot ha partecipato al pranzo del 27 maggio 2009, nel quale ha spiegato il senso della sua “avventura europea”, illustrato le opportunità di affari per gli “imprenditori” nelle grandi opere decise a Bruxelles (l’alta velocità e il terzo valico, ad esempio) e spiegato ai presenti come essere d’aiuto: “L’unico sistema è veramente quello efficiente, efficace, del passaparola. Quindi mi affido veramente a voi, tutti quelli che sto contattando in questo momento, perché l’obiettivo non è tanto che io vado in Europa, ma che voi possiate avere …”. Battaglia e Macrì erano a processo con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso con l’aggravante di aver favorito la ‘ndrangheta, ma la quinta sezione penale ha modificato il reato in scambio elettorale semplice e li ha condannati a due anni e 600 euro di multa per poi rinviare gli atti alla Procura di Torino affinché venga approfondita la sua posizione.
In seguito a questa vicenda la Prefettura di Torino ha mandato a Rivarolo Canavese una commissione d’accesso agli atti per verificare l’infiltrazione malavitosa nell’amministrazione. In seguito agli accertamenti il governo ha deciso di sciogliere il Comune. Al termine della relazione finale l’allora prefetto Alberto Di Pace ha sottoposto all’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri “la possibilità di proporre, in ragione di quanto emerso in istruttoria, i provvedimenti di incandidabilità”. Da fonti ministeriali si apprende che il procedimento è stato avviato al Tribunale di Ivrea e ancora non ha avuto un esito. Se Bertot fosse dichiarato “incandidabile” non potrà essere candidato al turno successivo delle “elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento”. Non è chiaro se le elezioni europee siano contemplate o se forse, basandosi su circoscrizioni interregionali, rientrino nel caso.
I grattacapi per Bertot non sono finiti. I giudici del tribunale di Torino non sono gli unici magistrati a voler vederci chiaro, ma ci sono anche i pm che ritengono necessario approfondire la sua posizione. A luglio, al termine della requisitoria del processo “Minotauro”, i procuratori della Direzione distrettuale antimafia di Torino hanno consegnato una memoria scritta. Tra le migliaia di pagine ce ne sono 57 in cui la vicenda del voto di scambio è ricostruita alla luce delle novità sorte nel dibattimento. Novità interessanti soprattutto su quei 20mila euro promessi in cambio di voti: durante il processo è emersa una fattura della “Fratelli Macrì srl” dell’imprenditore Giovanni Macrì trovata alla Stamet di Bertot con un corrispettivo pagamento. L’importo? Quasi ventimila euro. Nelle udienze nessun dipendente della Stamet ha saputo spiegare che lavori avesse svolto l’altra impresa. “Appare dunque evidente il carattere fittizio della prestazione che non può che essere stata disposta da Bertot – scrivono i pm -. È molto singolare che tale operazione sia avvenuta nella stessa data del 29 maggio 2009”, due giorni dopo l’incontro al Bar Italia. Per gli inquirenti è “un’operazione chiaramente inesistente”: “Occorrerà quindi svolgere ulteriori accertamenti sulla condotta del Bertot in relazione alla violazione di cui all’art. 416 ter c.p.”, aggiungono.
Pochi giorni dopo la scoperta della fattura, l’11 giugno a Bruxelles Bertot – subentrato a Gabriele Albertini – interviene così in aula nella discussione sulla “Criminalità organizzata, corruzione e riciclaggio del denaro”: “È un dato ormai palese che la criminalità organizzata si sia estesa al di là dei territori dove è stata storicamente delimitata. Le organizzazioni di tipo mafioso esistenti in alcune zone dell’Europa meridionale hanno infatti progressivamente ampliato il loro raggio d’azione, grazie alle opportunità offerte loro dalla globalizzazione economica e dalle nuove tecnologie, stringendo alleanze con gruppi criminali di altri paesi, anche in altri continenti”.