Viste da Roma, le elezioni europee del maggio 2014 non sono lontane sei mesi, ma anni luce. Né le avvicina la retorica europeistica del premier Enrico Letta, che viaggia sul doppio binario del voto e del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio dei Ministri dell’Ue. E l’attesa di segnali di ripresa ingigantisce il rischio di scambiare lucciole per lanterne, mentre la formula ripetuta ‘Europa dei popoli’ ha un accento più gollista che federalista.

Ieri, Letta s’è esibito sull’Europa a due riprese: con la FederCasse, al mattino; a Berlino, la sera; e ha sempre battuto sui tasti dei conti in ordine –“nel 2014, debito e deficit saranno per la prima volta in calo insieme da anni”-, sulla ripresa alle porte e sulla scelta della crescita.

Un mantra, quello della crescita, declinato in chiave europea (legislatura della crescita, aveva già affermato giovedì, dopo il Vertice a Roma con il presidente francese François Hollande, riferendosi alla prossima legislatura del Parlamento europeo) e in chiave nazionale: “Solo Italia e Germania riusciranno a restare sotto il 3% di deficit nel 2014…Dobbiamo uscire dalla crisi passo per passo…L’anno prossimo sarà il primo anno di crescita per l’Italia dal 2008, noi ci attendiamo l’1%, la Ue si attende lo 0,7%”.

Dati, e Letta lo sa bene, tutti da verificare: il deficit di bilancio sarà funzione della Legge di Stabilità e del rispetto delle previsioni di spesa e di introiti; e, per la crescita, l’Italia, per il momento, ha solo un lungo filotto di trimestri negativi e non è certo che l’ultimo del 2013 passi dal meno al più.

Parlando a una conferenza organizzata dalla Suddeutsche Zeitung, il premier ha collegato il tema della crescita all’esito delle elezioni europee: “Se mettiamo sul piatto solo più tasse e meno spese, Grillo avrà la maggioranza, supererà il 50%… Dobbiamo dire ai cittadini che dopo i sacrifici si raccoglieranno i frutti, altrimenti gli anti-europeisti andranno al 50%: succederà in Italia, ma anche in altri Paesi, basta guardare la Francia con Marie Le Pen…Dobbiamo combattere contro populisti e anti-europeisti, per dare un futuro al nostro continente, ai nostri figli “.

E Letta ha ricordato: “Se guardiamo al ranking del G8, tra dieci anni non ci sarà più nessun Paese Ue”, neppure la Germania: “Il G8 ci vedrà assenti: l’unico modo per essere influenti sarà di essere uniti “. Giusto. Ma, prima di tutto, bisogna decidere che cosa fare uniti. Con i tedeschi, il premier può scherzare sui difficili negoziati per la nuova coalizione (“Credevo di trovare un governo e, invece, a due mesi dal voto, si discute ancora”). Ma è più difficile convincerli che “l’Unione deve essere più solidale” e che “l’Italia ha fatto i compiti a casa” e non merita la diffidenza che la circonda.

Prima di andare a Berlino, Letta aveva scandito “No agli ayatollah del rigore“: “L’Italia ha le carte in regole” per dirlo e per puntare su politiche di crescita, perché “abbiamo i conti in ordine”.

Discorsi tra realismo e retorica. Bene Draghi, che, alla guida della Bce “ha calmato la crisi”; ma crescita e investimenti sono affare della Bei; e tornano gli eurobond, che non sono nel programma di governo, così come si delinea, della Germania. L’Unione bancaria va completata entro l’anno, però i Vertici europei sono “a volte suq incomprensibili” –e lì bisognerà decidere a dicembre-. E poi all’Ue “serve un leader eletto, come il presidente Usa”: sì, ma per fare che?, e con che poteri?

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