Iniziano con una corsa lungo i binari, gli anni romani di Pasolini, con vecchie foto d’epoca e i volti di Susanna, la madre, Carlo Alberto, il padre, e i due fratelli, Pier Paolo e Guido, che si sporgono dai finestrini di un treno, fino all’arrivo, presso la Stazione Termini, a 28 anni, nel 1950, dopo un involontario esilio dal Friuli materno.
Il percorso è diviso in 6 aree cronologiche, introdotte da un video che riproduce la Roma di oggi, dal Pigneto a Piazza del Popolo alle residenze dell’Eur, tenendo fede all’intenzione della mostra: dimostrare come le intuizioni di Pasolini rappresentino fedelmente non solo l’Italia del boom economico ma anche quella di oggi, nelle sue meschinità e piccolezze.
I filmati d’epoca, la corrispondenza con Godard e Bertolucci, la voce stessa di Pasolini che recita le proprie poesie, gli stornelli di Laura Betti, i dattiloscritti consumati dalle cancellature, gli articoli di giornale, contribuiscono a ricreare l’atmosfera di un’Italia in piena ebollizione culturale. Moravia, Morante, Maraini, Calvino, Ungaretti, danno vita a un’Italia sparita, quasi nostalgica, forte dei suoi luminari dell’intelletto, in continuo fermento, costellata d’ipocrisia e perbenismo, ma ancora impregnata di poesia. Nelle sale, un vociare continuo, le urla di ragazzini, come se gli echi delle borgate romane, dalle pagine ingiallite dei vecchi manoscritti esposti, dagli estratti delle pellicole, siano saltati giù per mescolarsi ai commenti scambiati sottovoce dei visitatori.
Impaziente di vivere, e di conoscere, Pasolini sembra aver trovato nella capitale una terra promessa, una Roma sconosciuta, che si annidava sotto i tetti delle periferie, arsa da un sole antico di secoli, tutta da raccontare, con gli occhi vergini di un friulano.
Pasolini ha costruito così un immaginario inedito: quello dei suoi ragazzi di vita, raccontati attraverso i suoni ancora poco familiari di una lingua, quella romanesca, appena conosciuta, quello degli accattoni, visto attraverso lo sguardo di un dilettante del cinema che, per realizzare un primo piano, s’ispirava ai chiaroscuri di Masaccio e alle forme di Giotto. Ma, da miniera d’oro di gemme realiste e verità nascoste, Roma diventa presto la fonte involontaria di un disgusto supremo, verso la conformità intesa come dogma, verso il consumo ormai imperativo morale, verso l’arte ormai massificata dalla televisione.
Da qui la scoperta di altri orizzonti, prima in Italia, con l’inchiesta sulla sessualità degli immortali ‘Comizi d’Amore‘, poi nel terzo mondo, con i viaggi in Africa, in India e in Oriente, fino all’approdo a Parigi e a New York, capitali della cultura, dove Pasolini grida forte il suo disprezzo per lo stretto orizzonte intellettuale italiano. Segue, quindi, la triste abiura della sua ‘Trilogia della Vita‘, il gioioso trittico cinematografico costituito dal ‘Decameron’, ‘I racconti di Canterbury’ e ‘Le Mille e Una Notte’, rinnegato davanti all’ipocrita intolleranza dell’opinione pubblica, ma soprattutto, forse, dopo la fine della relazione con Ninetto Davoli, che fa da preludio al rifiuto radicale degli ultimi anni, al volto indurito, allo sguardo ormai disilluso su una società italiana disintegrata e invischiata nelle caste, e divorata da un’impellente attitudine al consumo.
Ad attendere i visitatori, alla fine del percorso, l’ultimo video, il mare calmo, inconsapevole, di Ostia e la storia di un mistero tutto italiano di cui ancora non si è vista la luce e che fa ancora rumore. Come Accattone prima del salto, deve esserselo ripetuto tante volte Pasolini: “Daje va’, damo soddisfazione al popolo!”. Fuori, intanto, piove ancora.
Valeria Nicoletti