I “separati in casa” al governo, e cioè i nuovi responsabili del duo Alfano-Formigoni e gli scudi-umani del fidanzato di Francesca Pascale si mostrano ricompattati per denunciare l’abominio della grande persecuzione  nonché “il femminicidio giudiziario” che il collegio delle “giudichesse rosse” avrebbe perpetrato con le motivazioni della sentenza Ruby.

Depositate in tempi “ipersospetti” a “soli sei giorni giorni” dalla decadenza che se fosse stata immediatamente dichiarata, come prevede la legge in vigore sarebbe già operativa da mesi, le motivazioni confermano e circostanziano quanto già noto e accertato nel processo di primo grado: Berlusconi sapeva che Ruby era minorenne; ha ripagato i suoi favori sessuali ed il suo silenzio come quello delle olgettine a libro paga e dei testimoni delle “cene eleganti”; ha esercitato con le sette telefonate in commissariato finalizzate ad assicurare Ruby alla Minetti una pressione tale da configurare il reato di concussione per costrizione.     

E si tratta solo del primo capitolo giudiziario, quello del Berlusconi “regista” delle esibizioni e dei dopo cena al quale, tra meno di un mese circa, si aggiungerà l’altro, non meno avvincente e scabroso, delle “indagini difensive” sempre in perfetto stile Bunga-Bunga dove il protettore della “nipote di Mubarak” è affiancato “alla regia” dai suoi legislatori personali Ghedini e Longo.

Gli alti lai contro “la sentenza surreale” nelle definizioni dei più “moderati” sono stati propedeutici alla cagnara pianificata per rimandare ancora con qualsiasi pretesto ed opportunismo ostruzionistico, come è avvenuto per vent’anni nelle aule giudiziarie con le sentenze, il voto sulla decadenza fissato per il 27 novembre.

Il presidente del Senato Grasso, accusato da un Bondi furente di manifesta partigianeria l’ha confermata come data definita e non ulteriormente aggirabile ed  il segretario del Pd con eccesso di zelo ha avvertito l’esigenza di difendere il partito dalle accuse di Gasparri & co. di sospetta accelerazione.

Ma le urla più o meno scomposte sono anche una prova generale di rinnovata pressione sul governo delle larghe intese “ridimensionate” alla vigilia dell’approvazione della legge di stabilità e questa volta da parte dei  due distinti e convergenti fronti dei lealisti rifondatori di Fi e dai governativi del Nuovo Centro Destra. Apparentemente differenti e contrapposti, anche se al momento entrambi ancora sostenitori di Enrico Letta, almeno fino a quando il Berlusconi imputato lo reputerà conveniente.

Se il governo Letta fosse una cosa un po’ più seria e se il presidente del Consiglio volesse affrancarsi da padri e padrini politici e conquistare la considerazione internazionale che troppo spesso ostenta e millanta, invece che assecondare gli umori di Brunetta e della Santanché e piegarsi ai diktat superiori, marcherebbe ogni giorno di più le distanze dal Berlusconi in decadenza e dai suoi scudi-umani.

Gli converrebbe in primo luogo, da un punto di vista di mera opportunità politica, per creare una divisione tangibile tra chi vuole sostenerlo, a parole, come Alfano con i suoi “responsabili” e chi dichiaratamente aspetta il momento più opportuno per svincolarsi dalle larghe intese e buttarsi a capo fitto in una truculenta campagna elettorale contro magistrati e tasse come Brunetta.  

Se continua ancora a stare appeso a Berlusconi che secondo lui “non è più un pericolo”e si lascia imporre le condizioni di Alfano, che vuole trascinare il voto sulla legge di stabilità per rimandare sine die quello sulla decadenza, Letta junior si ritrova Grillo al 51% molto prima delle europee. 

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