Segnatevi questa data: mercoledì 27 novembre 2013 perché quel giorno, se solo volesse, Silvio Berlusconi avrebbe l’estrema e forse irripetibile occasione di rendere un servigio al Paese, per la prima volta dopo un ventennio di nefandezze. Lo ha preannunciato: prima del voto sulla decadenza da senatore pronuncerà nell’aula di palazzo Madama un discorso “per passare alla storia”, “per non fare la fine di Craxi”. Alla storia ci passerà comunque come l’uomo del bunga-bunga ma se ispirasse l’atteso commiato alle parole pronunciate alla Camera dal leader del Garofano il 29 aprile del 1993 dovrebbe avere il coraggio che Bettino non ebbe: fare nomi e cognomi e vuotare il sacco, per esempio, sulle promesse d’impunità ricevute.
Promesse per ora vane, altrimenti a quale scopo nell’intervista dell’altro giorno al Mattino il condannato per frode fiscale si sarebbe vistosamente appellato a un “riconoscimento del mio ruolo” chiedendo “un’agibilità politica che ogni cittadino di buon senso e di buona fede concederebbe a un alleato?”. Richieste ribadite con veemenza ieri davanti ai giovani di Forza Italia e accompagnate da un’arrogante pretesa: altro che servizi sociali, Napolitano gli conceda la grazia motu proprio, “senza un attimo di esitazione e senza che io lo chieda”.
La domanda sorge spontanea : perché mai Berlusconi si attende un simile regalo dal Quirinale? Nella famosa chiamata di correo di vent’anni fa Craxi, in piena Tangentopoli, denunciò un “sistema criminale” e guardandosi intorno chiese se c’era qualcuno pronto a giurare il contrario. Nessuno fiatò. Egli, gli altri componenti di quel sistema fondato sulle mazzette li conosceva bene e forse pensò che quella allusione sarebbe bastata a garantirgli un qualche salvacondotto politico per non dover trascorrere il resto dei suoi anni da latitante ad Hammamet. Lo lasciarono solo. Di questo passo B. farà la stessa fine.
Alfano e gli altri “traditori” lo hanno mollato anche se a cagione della considerevole coda di paglia strepitano più degli altri sulla sua innocenza. Letta nipote lo ha già liquidato: non è più un pericolo per la tenuta della maggioranza. E quanto alla grazia motu proprio è difficile che sul Colle ci sia qualcuno disposto a sfracellarsi per il benefattore della nipote di Mubarak. Ma l’uomo è troppo avvezzo ai compromessi per brandire la vendetta e il palazzo in fiamme si vede solo nei film. Probabile che tutto finisca con la solita piazzata sotto palazzo Grazioli e la solita tirata contro le toghe rosse. Caimano che abbia non morde.