Ci sarà tempo e modo di valutare l’effetto di questo 25 Novembre e del primo sciopero contro la violenza sulle donne, ma intanto un risultato è già stato ottenuto: ha aperto diverse discussioni e di conseguenza una plurarità di eventi ed iniziative. Per Bologna l’appuntamento è alle 17.30 in piazza XX Settembre mentre a Imola si comincia dalle 7 con un flash mob in stazione per chiudere in teatro la sera con “Marcella, o dell’uccisione dell’anima”. Chi vuole scorrere l’elenco nazionale può andare sul sito ufficiale.
Eppure non era scontato, come stanno raccontando in questi giorni alcune delle promotrici che hanno lanciato il primo appello. Un testo senza appoggi dichiarati delle organizzazioni tradizioni, di partiti e sindacati, ha interrogato reti, persone, ambiti familiari e luoghi di lavoro dimostrando che nel paese si può costruire ancora qualcosa di concreto oltre l’indignazione, vera o presunta, che periodicamente lo attraversa quando la violenza di genere diventa fatto di cronaca da prima pagina con tutti gli stereotipi del caso. Sicuramente, a detta di diverse protagoniste che sul tema lavorano quotidianamente, ha permesso di rendere questo 25 Novembre una data meno rituale. E un motivo di fondo c’è e viene spesso ripetuto dalle stesse protagoniste: la violenza di genere colpisce le donne ma deve interrogare in primis il “maschile”. Insomma è un territorio accidentato, una terra di mezzo tra lo spazio pubblico e spazio privato, dove tocca sperimentare gesti ed azioni nuove.
Dove non basta dire “io non sono così” se il tuo collega di lavoro o un tuo parente picchia o annichilisce la moglie/fidanzata/madre e non basta neanche indignarsi per gli stereotipi maschilisti che trasudano le cronache morbose su un noto ex presidente del consiglio se poi si accetta senza colpo ferire che quegli stessi stereotipi siano la sostanza quotidiana di pubblicità e formattelevisi guardati da milioni di persone ogni giorno. Per fortuna non si parte da zero. Gruppi come MaschilePlurale portano avanti queste discussioni da qualche anno. Dopo la manifestazione di “SeNonOraQuando” di qualche anno fa, che vide la partecipazione anche di molti uomini, si tentò un primo ragionamento con qualche incontro anche a Bologna. Solo che noi maschietti di sinistra abbiamo spesso l’abitudine a risolvere questi problemi con un’assemblea, un presidio, un corteo. Come se la risposta si trovasse in uno slogan o in uno striscione, nella richiesta di leggi più punitive o nelle dimissioni di questo o quel politico.
Quando c’è un’intera cultura del paese da cambiare gli strumenti devono essere altri. Anche e soprattutto perché quelli già conosciuti non hanno dimostrato di essere all’altezza dei problemi che abbiamo di fronte. Credo che sia stato soprattutto questo il senso delle parole spese dalle donne a Bologna per chiedere agli uomini di non essere presenti in una piazza che non “vuole dare alibi”. Quali? Quelli di un impegno che timbra il cartellino e rischia di tornare a casa senza lasciare un segno. E in fondo il senso della novità sta proprio nei modi più diversi nei quali ci si sta preparando a questa scadenza. Da chi si vestirà di rosso a chi esporrà un drappo alla finestra, dagli areoporti della Puglia dove andranno a rotazione video sullo sciopero alle immagini di Carlotta, dagli scontrini nei supermercati che riporteranno in calce la dicitura “25 novembre Giornata mondiale contro la Violenza maschile sulle donne” alle adesioni da scuole e fabbriche. Iniziative alle quali chiunque, uomo o donna, può aderire o – meglio – proporne di simili nei propri ambiti di vita e di lavoro. Insomma, per usare un termine più recente, uno sciopero “generalizzabile” più che “generale”. E che, per questo, nella sostanza concreta risponde anche all’obiezione di una storica femminista come Lea Melandri di non trovarci una “controparte sindacale”.
Vero, perché non esaurisce la sua carica di cambiamento dentro la dimensione del lavoro, ma identifica un modo per interrompere i flussi. Tutti. Quelli economici, ma anche quelli sociali, di relazioni, informazione, assuefazione, solitudine e alienazione provando per un giorno ad interrogarci collettivamente e singolarmente su un tema che troppo spesso siamo portati a spostare fuori dal centro dell’attenzione per non farci i conti. Le domande che porrà oggi questo 25 Novembre riguardano tutti e tutte, e non potranno funzionare neanche gli alibi al contrario del tipo “tanto non ci hanno voluti in corteo”. Anche perché la qualità di questo impegno di misurerà dal giorno dopo in poi. Intanto buon 25 Novembre.