Cinema

Aiuti di Stato al cinema, la Francia convince l’Ue sull’exception culturelle

La legge francese prevede che l'80 per cento del budget totale di una pellicola che ha ricevuto aiuti di Stato sia speso all'interno del territorio nazionale. Il compromesso ottenuto da Parigi, con l'aiuto della Germania, è che la percentuale non superi il 60 per cento. La cultura pesa sul Pil d'Oltralpe per ben il 4 per cento

di Alessio Pisanò

La Francia la spunta contro Bruxelles sugli aiuti di stato al cinema. Nella comunicazione ufficiale Ue sulla revisione normativa di settore, ha prevalso la linea francese che in nome della famosa “exception culturelle” non voleva alcuna intromissione europea nelle norme nazionali che regolano la spesa e gli investimenti cinematografici.

La Francia porta così a casa una vittoria importante su un settore, la cultura, che nel Paese pesa ben il 4 per centro del Pil e su una materia, gli aiuti di Stato, nel quale la Commissione europea è di solito intransigente. Fondamentale l’assist della Germania, con la quale, anche in questo caso, Parigi condivide interessi ed obiettivi. Dopo mesi di negoziati serrati, la Francia ha evitato che la Commissione europea limitasse la percentuale degli investimenti di Stato destinati al cinema da essere obbligatoriamente spesi sul territorio nazionale.

È uno dei capisaldi previsti dalla cosiddetta “exception culturelle” francese, che prevede che l’80 per cento del budget totale di una pellicola che ha ricevuto aiuti di Stato sia speso all’interno del territorio nazionale. Si tratta un escamotage messo in atto negli anni per tutelare e promuovere il cinema francese, che dai tempi di Godard e Truffaut ha più o meno mantenuto un certo livello artistico. Le intenzioni della Commissione europea, invece, erano quelle di cogliere al volo l’occasione della revisione della normativa di settore (scaduta a dicembre 2012) per eliminare queste eccezioni al fine di favorire il cinema “europeo” e incentivare le produzioni internazionali. Per questo, la soglia dell’80 per cento era finita nell’obiettivo della Direzione generale Concorrenza della Commissione presieduta da Joaquin Almunia che voleva appunto farne tabula rasa. Quanto basta per far entrare l’intera industria cinematografica francese in guerra contro Bruxelles.

Una guerra che ha visto i francesi alleati ancora una volta in Europa con i tedeschi, dal momento che anche Berlino ha in vigore simili incentivi per il cinema nazionale. Ecco allora l’asse franco-tedesco impegnato in tre consultazioni pubbliche e due anni di negoziati con Bruxelles per proteggere il proprio cinema contro lo spauracchio di quelle delocalizzazioni all’Est che hanno già assestato un duro colpo ad altri settori produttivi. Il compromesso trovato, più che positivo soprattutto per la Francia, consiste nella possibilità per gli Stati membri di “poter imporre condizioni territoriali per le spese sostenute dai beneficiari di aiuti di Stato” con un limite che prevede “non oltre il 60% degli aiuti concessi speso sul proprio territorio”.

Francesi e tedeschi hanno anche portato a casa la possibilità che gli Stati membri possano esigere che, a prescindere dall’importo degli aiuti concessi, un livello minimo di attività di produzione si svolga sul proprio territorio come condizione stessa per beneficiare degli aiuti (dal 50 all’80% del bilancio di produzione) per determinate categorie di prodotti. “Si tratta di una restrizione delle norme del mercato unico Ue che è giustificata dalla promozione della diversità culturale che richiede la tutela delle risorse e del know-how dell’industria a livello nazionale o locale”, si legge in una nota della Commissione. Insomma esattamente quello che chiedeva la linea francese.

“La conservazione della criterio territoriale costituisce un’enorme vittoria, frutto della mobilitazione massiva degli addetti al settore e della politica. Siamo riusciti a convincere la Commissione a modificare profondamente il testo originale”, ha esultato Aurélie Filippetti, ministro della Cultura e della comunicazione francese (nella foto con Alain Delon al Festival di Cannes). D’altronde quando c’è di mezzo la cultura, Parigi è ben pronta alle maniere forti. Basti pensare che un recente studio di EY (ex Ernst&Young) commissionato dalla Saicem, la Siae francese, ha evidenziato come il fatturato del settore cultura in Francia (cinema, musica, teatro, architettura, editoria e videogiochi) ammonta a 74 miliardi di euro, addirittura superiore a quello delle telecomunicazioni (66,2 miliardi), chimica (68,7 miliardi) e automobili (60,4 miliardi). Ma che l’exception culturelle in Francia sia una priorità non è certo una novità. Lo scorso giugno la Francia ha preteso e ottenuto che la cultura rimanga fuori dal nuovo accordo di libero scambio commerciale con gli Stati Uniti, a costo di mandare tutto quanto all’aria. Alla luce di tutto questo, non stupisce che i francesi continuino a spendere l’8,4% del reddito e dedichino quasi 9 ore al giorno ad attività culturali.

@AlessioPisano

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