Sentire Gabriella Battaini Dragoni, vicesegretaria generale del Consiglio d’Europa, dire che una donna su tre, nella vita, subisca violenza, fa pensare a quanto ancora ci sia da fare per raggiungere anche solo la decenza di civiltà nel mondo.
Nessuno è escluso: la violenza trova ancora terreno fertile anche in quelle società che per tanti altri aspetti di facciata possono definirsi “avanzate”. Seppure siano stati fatti molti passi in avanti, rispetto a tante altre aree del mondo, dove la donna è ancora vittima di un impianto culturale fortemente e dichiaratamente maschilista, c’è ancora tanta strada da fare.
E’ un dovere civile informare ed educare al rispetto della donna, non c’è crisi o catastrofe che possa eclissare un tema così disgustoso. Nella vita ho conosciuto tante donne vittime di ignobili violenti e chissà quante non hanno avuto occasione o voglia di coinvolgermi in racconti di ingiurie subite. Ho imparato ad onorare la loro resilienza e ammirarne la forza di tornare ad affrontare la vita, pur cariche di tanto sdegno, aprendosi nuovamente al rischio di un nuovo e a volte insospettabile deviato.
Soprattutto, ho provato vergogna. Imbarazzo, di sentirsi inerme nel comprenderequanto dolore e, allo stesso tempo, quanto coraggio ci fosse in una donna simile,
anche solamente nell’interloquire con un rappresentante dell’altro sesso. Orrore, di pensare che la violenza in casa sia solo una delle tante manifestazioni dell’ignominia maschile verso le donne, ma forse una delle peggiori, perché biecamente nascosta dietro una facciata apparentemente innocente.
Oggi è la giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Da uomo, visto che spesso vedo e leggo solo servizi di donne che parlano di altre donne quando si tocca l’argomento violenza, vorrei far sentire la mia
vicinanza e aggiungermi al coro di
protesta per uno Stato ancora arretrato nella cultura della
prevenzione. Del resto, difficile anche solo iniziare un discorso di educazione a partire dalle scuole, quando ripetiamo – nei tre cicli scolastici – la storia delle guerre che si sono susseguite nei secoli, ma mai una volta si insegna quella che un tempo era la già trascurata “
educazione civica”. Quando i fondi all’istruzione e lo stato di strutture e infrastrutture scolastiche sono ai livelli di un Paese arretrato.
Appare evidente che la famosa “famiglia”, di cui tanto si parla strumentalmente in politica, non sia sufficiente a risolvere un problema tanto radicato quanto cinicamente e rapidamente digerito dalla politica e dai media; non riesca a trasmettere valori ormai pasto di sterili ripicche televisive, ma mai argomenti di evoluzione sociale.
Sono ormai più di vent’anni che la politica si limita a lavorare su singoli
interventi legislativi e sappiamo bene perché: chi visita il sito e legge il cartaceo, sa che
Il Fatto Quotidiano offra molti spunti utili per capirlo.
Si è persa, da ogni parte, la lungimiranza che occorre a comprendere quanto sia importante costruire una strategia a lungo termine, in cui organizzare una serie di interventi secondo priorità e sinergie operative ben definite, in maniera da fare i famosi “passi verso un Paese migliore”. La violenza sulle donne è solo una delle manifestazioni della povertà culturale radicata nella nostra società, dell’assenza di un vero disegno politico per il Paese.
Pertanto, il primo e più fondamentale passo da compiere è quello di creare una società in grado di generare al suo interno individui migliori, nel rispetto della diversità di pensiero. Tutto questo parte dall’apparato rigeneratore della società: la scuola e l’università. Istituzione sbriciolata: al suo interno, dall’apatia di un corpo insegnante impegnato a costruire baronati alle spalle di chi ha veramente merito; all’esterno, da uno Stato sempre più parco di finanziamenti e incapace di dare ossigeno alle vere capacità che emigrano o rischiano di spegnersi in una misera rassegnazione, dopo aver lottato contro un muro di gomma.
Sogno un’Italia che torni a pensare come un Paese, ben lontano dai discorsi che si sentono in politica oggi, vicini a una riunione di condominio. Le dirette parlamentari, che seguo da quando avevo 14 anni, si sono trasformate in una gara a chi riesce a sfornare la battuta migliore contro l’avversario o chi si lamenta come vittima del bullismo del compagno di scranno. Assomigliano ad una classe di scolaretti indisciplinati…non mi meraviglia che sia complesso in un Parlamento tale, parlare della vera crescita, quella culturale e valoriale di un Paese, a fondamento di un futuro migliore, a partire dalle donne.