Il Capo dello Stato fa sapere di non volere sottrarsi alla testimonianza nel processo in corso a Palermo. Ma ricorda che, per legge, dovrebbe parlare dal Colle. Al centro delle polemiche, la lettera inviata alla Corte d'Assise in cui diceva di non avere nulla da riferire
Giorgio Napolitano fa sapere di non volersi sottrarre alla testimonianza nel processo Stato-mafia. Però, allo stesso tempo, ricorda che a Palermo, per legge, non ci dovrebbe andare. Il Quirinale è voluto intervenire “in relazione ad interpretazioni non corrette riportate dalla stampa”, secondo le quali il Presidente della Repubblica non voleva andare a deporre nel capoluogo siciliano. Al centro delle polemiche, la lettera inviata dal Capo dello Stato alla Corte di Assise di Palermo, in cui diceva di non avere da riferire “alcuna conoscenza utile al processo”. Sulla questione era intervenuto anche Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle, che aveva attaccato il Quirinale. “Perché non parli?”, era stata la provocazione del comico genovese rivolta a Giorgio Napolitano.
Con la lettera inviata al Presidente della Corte di Assise di Palermo, sottolinea la nota del Colle, “si è ritenuto doveroso offrire all’organo giudicante elementi di fatto idonei a valutare più approfonditamente l’utilità della testimonianza del Capo dello Stato, la quale è stata ammessa dalla Corte stessa, a norma dell’art. 190 del codice di procedura penale, solo in quanto non manifestamente superflua o irrilevante”, precisa il Quirinale “in relazione ad interpretazioni non corrette riportate dalla stampa”. “La lettera inviata, pertanto, non preannuncia alcuna determinazione del Presidente a questo riguardo. Neanche quella di “non andare a Palermo” (come impropriamente si è scritto) per rendere una testimonianza, che comunque dovrebbe, per espresso disposto di legge, essere acquisita – conclude la nota della presidenza della Repubblica – nel luogo in cui esercita le sue funzioni, ossia al Quirinale”.