Il castello reale, la drammatica testimonianza di Auschwitz e lo spettacolo delle miniere di sale a Wieliczka. Un viaggio nella città polacca tra storia e il gusto di zuppe e street food
Stavolta sei stato disciplinato come un marine. Hai letto la parte che t’interessava della guida sulla Polonia una settimana prima della partenza. E infatti, mentre l’aereo decolla ti rendi conto di non ricordarti già assolutamente niente. Cerchi di recuperare le informazioni essenziali: destinazione Cracovia, seconda città della Polonia, ex capitale reale che sorge a 70 km da Auschwitz, luogo della follia umana, e legata al nome di Karol Wojtyla, che qui è stato arcivescovo per poi passare alla storia come Papa Giovanni Paolo II. Hai più o meno tre giorni: il tempo ti sembra sufficiente e, infatti, non basterà, nonostante le informazioni di prima mano che ti arrivano “dall’interno” grazie alle preziose dritte offerte da Vincenzo, che Cracovia la conosce a menadito.
Arrivi all’ora di pranzo e fa il freddo giusto, perciò sfrutti un invitante mercatino per affrontare la prima specialità locale. Trattasi di kielbasa, salsiccia di dimensioni rispettabili fatta di carne di maiale aromatizzata. Servita con pane nero o con semplici patate è un ottimo benvenuto da parte della città accompagnata da una birra locale che, come quelle che berrai in seguito, è leggerina ma con un retrogusto amarognolo. Rifocillato ti dirigi sicuro verso Rynek Glowny, quadrato da oltre 200 metri di lato per una piazza davvero enorme impreziosita dal fondaco dei tessuti, edificio che era il fulcro del commercio tessile di Cracovia e oggi ospita una serie di bancarelle dove acquistare souvenir e prodotti d’artigianato (a partire dalla diffusissima ambra), la Basilica di Santa Maria, la cui facciata è dominata da due torri di diversa altezza e con una straordinaria pala d’altare costituita da un pentittico interamente realizzato in legno di tiglio illustrante scene della vita della Vergine e di Gesù e la statua del poeta polacco Adam Mickiewicz. Lasci la piazza e ti dirigi, attraversando la centrale ulica Grodzka, all’antico quartiere ebraico di Kazimierz. Lungo il cammino addenti un obwarzanek, sorta di grande pretzel variegato con semi di papavero o di sesamo che viene venduto per strada, uno spuntino perfetto.
Kazimierz, che la sera si anima grazie a numerosi locali e ristoranti, ti accoglie con fastidiose gocce di pioggia che un po’ disturbano il girovagare tra chiese e sinagoghe; poco lontano c’è il sobborgo operaio di Podgorze, dove nella seconda guerra mondiale sorse il famigerato ghetto ebraico. Si trova qui anche la Fabbrica di Schindler, quella del toccante Schindler’s List di Steven Spielberg. Per la cena ritorni nella zona della città vecchia al U Babci Maliny (“Da nonna lampone”, ulica Szpitalna). Caratteristico fino a sfiorare il kitsch, è un’osteria sotterranea con due zone che apparentemente non hanno nulla a che fare l’una con l’altra: da una parte panche di legno e ambiente rustico, dall’altra un salone che sembra uscito dagli anni ’20 con tanto di pianista. Serata a base di pierogi, ravioloni di pasta sottile farciti con vari ripieni (dalla carne alla ricotta o al cavolo) che si rivelano gustosi ma anche impegnativi, soprattutto perché ne portano una quantità ingestibile. Birretta d’accompagnamento e chiusura con vodka Zubrowka. Tutto ottimo e in 2 si mangia con l’equivalente di meno di 20 euro totali: promosso, indirizzo da segnare.
Giorno numero 2, fa più freddo e la sveglia suona ad un orario incivile perché l’obiettivo è prendere un pullman per raggiungere Auschwitz (o, col nome polacco, Oswiecim), distante circa un’ora e mezza. Colazione a base di szarlotka, frolla farcita di mele dal sapore delicato, e poi si parte. Qui, perdonerete, ma il racconto si interrompe per mezza giornata, perché in una narrazione semiseria Auschwitz non può proprio trovare posto. Un consiglio solo: arrivate preparati, magari leggendo prima un libro che vi consenta non solo di “sentire” ma anche di capire cosa state vedendo. La nostra scelta è caduta su “Auschwitz, la città e il lager”, saggio storico di facile lettura di Sybille Steinbacher. È servito.
Tornato in città riesci comunque a cenare. Anzi, ti concedi pure un aperitivo con una birra calda che qui propongono arricchita con sciroppi e marmellate dolci. Nell’occasione la provi con il succo di mirtillo: ebbene, ci sono regole che non vanno mai violate, e una di queste è che la birra non va mai bevuta calda. Cena al Chlopskie jadlo, ristorante seminascosto lungo ulica Grodzka. Antipasto con oscypek, formaggio di pecora cotto alla piastra davvero pungente e non a caso accompagnato da marmellata di fragole. A seguire si punta sul bigos, zuppa (in realtà abbastanza asciutta) con crauti, pancetta, salsiccia, funghi e spezie: consigliata se vi piacciono i sapori forti. La vodka d’ordinanza ti conduce a fine serata.
Giorno tre e sveglia incivile numero due. Ora fa parecchio freddo e addolcisci la mattinata da Michalscy (plac Dominikanski) con una fetta di kremowka, torta nella quale uno strato ben compatto di crema e panna è racchiuso tra due sfoglie sottili: un dessert pare molto gradito anche a Giovanni Paolo II. Si può fare, a patto di arrivare a stomaco vuoto perché equivale a un mezzo pranzo. Caloricamente rinfrancato, sali sull’autobus 304 e in 40 minuti sei a Wieliczka, paesino che ospita le spettacolari miniere di sale entrate a far parte del Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Si entra solo con visite guidate (in italiano una o due al giorno nelle diverse stagioni), per quello che è un vero e proprio monumento all’ostinazione umana: nove livelli che arrivano fino a 327 metri nel sottosuolo, con 2.400 “camere” unite da 245 chilometri di corridoi. Tutto scavato nel sale, manualmente, da generazioni di minatori. Il percorso visitabile comprende i primi 3 livelli, arriva fino a 135 metri di profondità e porta all’interno di un mondo inimmaginabile. Pareti, soffitti, pavimenti, scalinate: tutto è fatto di sale. E tra laghi sotterranei e argani secolari, sorprendono le testimonianze artistiche spesso opera di minatori-scultori. Si va da statue, a crocifissi e piccole cappelle, fino all’apoteosi dell’impressionante chiesa di Santa Cunegonda, un intero edificio con pavimentazione, affreschi, pale d’altare, candelabri, statue interamente realizzate con sale. Tornato in città per la cena scegli il ristorante Pod Wavelem (sw. Gertrudy) e decidi di non rischiare: classico gulasz con carne, patate e cipolle servito direttamente all’interno di una pagnotta di pane e che può essere accompagnato da frittelle di patate. Non sbagli, e soddisfatto della scelta chiudi la tua ultima serata polacca.
Rimane una mattinata, e ora il freddo è cattivo. Vai spedito verso la collina del Wawel: giunto alla sommità ti godi la vista sulla Vistola e, causa tempo insufficiente, visiti solo dall’esterno il complesso del castello reale. Ti addentri invece nella adiacente Cattedrale, dove sono stati incoronati quasi tutti i re polacchi del passato. Qui, tra le cappelle che punteggiano la struttura gotica, i sotterranei con le tombe reali e di altri personaggi nazionali di spicco (sembra strano vedere uno accanto all’altro il monumento per le vittime di Katyn e il sepolcro del discusso presidente Lech Kaczynski) e la salita della torre che porta a una serie di campane tra cui la titanica campana di Sigismondo (2 metri d’altezza per 11 tonnellate di peso) concludi il tuo soggiorno con un pieno di storia e cultura. Hai giusto il tempo per provare una zapiekanka, bruschettona farcita nei modi più vari, e poi ti dirigi verso l’aeroporto.