I legami che uniscono le comunità nomadi del Sahara, Marocco, Algeria, Mauritania, Mali mi sono apparsi più chiari durante le lunghe conversazioni nel bivouac con veri esperti della cultura Touareg: la libertà, l’essenzialità della vita e la condivisione. Persino nel lavoro di organizzazione del Festival questi principi vanno considerati. Parola, discussione, partecipazione delle popolazioni locali vanno rispettate a costo di rallentare la macchina organizzativa… Un vero allenamento ad una visione “altra” anche nelle relazioni di lavoro.
Il Festival ha costituito la prima tappa del progetto Caravane Culturelle pour la Paix che unisce a Taragalte il Festival au Désert (Timbuctu, Mali) e il Festival sur le Niger (Ségou, Mali) per lanciare un messaggio di pace e tolleranza nell’area sahelo-transsahariana. Attraverso la musica, la poesia e le residenze artistiche la Carovana offrirà a questa regione una piattaforma di incontro e scambio sulla valorizzazione durevole del suo patrimonio culturale. E grazie a progetti internazionali, quest’anno era prevista anche una residenza artistica di musicisti africani ed europei.
Colpisce l’eterogeneità delle persone che convergono qui: un pubblico internazionale appassionato, soprattutto europeo, si mescola alla popolazione locale del villaggio di M’Hamid el Ghizlane che partecipa intensamente all’iniziativa. Si entra in contatto a volte dopo essersi scrutati per un po’, con qualche sorriso timido, seduti in una tenda.
E’ questo il ruolo che i Festival sempre più stanno assumendo, una transizione da semplici eventi episodici a catalizzatori di energie e competenze a servizio di un territorio. Una funzione che andrebbe riconosciuta e sostenuta con forza in Africa e anche in Europa.
di Francesca Perrazzelli, project manager culturale