Berlusconi non è più parlamentare. Tra non molto andrà a scontare la sua pena ai servizi sociali e, verosimilmente, nei prossimi mesi, senza più l’usbergo dell’immunità, dovrà fare i conti con situazioni piuttosto complicate che potrebbero arrivare da più di una Procura.

Il ventennio, nella sua personificazione, finisce dunque qui e finisce in una smobilitazione generale dominata dalla depressione, un cupio dissolvi, nel quale si intrecciano minacce e starlette, signore ingioiellate e pensionati imbolsiti, figuranti e uomini chiamati a far da scorta a personaggi in cerca di autore. Finisce con l’immancabile defezione dei “traditori”, badogliani li chiamerebbe un nostalgico dell’altro ventennio, che abbandonano la nave che affonda prima di bagnarsi i piedi.

Berlusconi finisce nel pieno del suo stile. Vorrebbe essere tragico ma inevitabilmente diventa macchietta. La situazione si prestava ad una prova di forza, quanto meno di forza mediatica. Invece no, è rovinata se non nella farsa, quanto meno nell’operetta. Berlusconi ha fatto un discorso tremolante, patetico, ha sciorinato il solito repertorio di menzogne e battute ad effetto davanti ad una sparuta pattuglia di sostenitori ingigantita dalle riprese in campo stretto delle reti televisive. Se ve ne fosse stato ancora bisogno, ha mostrato ancora una volta la sua pochezza politica ed umana. E viene inevitabile pensare come abbia fatto – se non grazie alla scarsa levatura degli avversari e ad una oggettiva immoralità diffusa – un personaggio di tal fatta a tenere in scacco un Paese per un tempo così lungo.

Ma la sua caduta, perché di caduta si tratta con buona pace dei commentatori che ancora indicano un ruolo per questo personaggio, impone una riflessione sul Paese. Non mi interessa tentare analisi sul futuro. Vivendo vedremo. Mi interessa invece ragionare sulla fine, perché la fine di un personaggio come Berlusconi ci racconta un po’ noi stessi, ci narra la condizione morale di questo Paese.

Ripensiamo ad altre cadute viste nello secolo scorso. Berlusconi non ha la tragicità disperata del Mussolini al teatro Lirico di Milano. Anche quello era un discorso che certificava una sconfitta proprio nel suo ostinarsi pervicacemente nel negarla. Berlusconi fa lo stesso, ma se Mussolini faceva orrore – un orrore tragico che in breve sarebbe ricaduto sullo stesso dittatore a Giulino di Mezzegra – Berlusconi sinceramente desta disinteresse. Annoia.

La sua uscita non ha neppure la tensione, ma voglio anche dire la dignità di Craxi sommerso dalle monete e dagli sputi davanti al Raphael. Craxi si accollerà l’esilio (sarebbe tecnicamente più corretto dire la latitanza a vita), ma pronuncerà un ultimo pesantissimo discorso sfidando un’aula che sembrava la Convenzione della rivoluzione francese. La sua sfida, con argomenti inaccettabili, fu comunque un atto di dignità politica. Di affermazione di una responsabilità.

Questo avveniva non perché un uomo come Craxi fosse un gigante della politica, ma perché il Paese, nei tragici mesi del ’45 e in quelli drammatici di Tangentopoli imponeva una diversa condizione. Eravamo noi ad essere diversi.

Oggi Berlusconi ci propone una sorta di Drive In della politica e tutto finisce in vacca. Lo fa perché il suo modo di fare, la sua uscita, è quello che il pubblico oggi è pronto a vedere. Immaginiamo le frasi, l’atteggiamento assunto da Berlusconi in un tempo diverso. Il Paese non lo avrebbe tollerato. Non avrebbe tollerato nulla di quello che ci ha propinato questo personaggio. Invece l’Italia di oggi si identifica in un personaggio che ne è stato, e in larga misura ne è ancora, specchio e al tempo stesso modello.

Finisce Berlusconi e finisce non in tragedia, ma in pochade. Quello che non finisce è il berlusconismo, inteso come modello, come modo di pensare, come rapporto di sudditanza tra gli italiani e il potere. La fine di ogni forma di partecipazione politica, di ogni dibattito, di ogni forma di democrazia diffusa, oggi non è incarnata da un caudillo morente, ma è incarnata dal modello di politica che si è ormai imposto e del quale Berlusconi è stato al tempo stesso simbolo, artefice e strumento. Una visone distorta della democrazia con caratteristiche plebiscitarie, basata sul cesarismo ha ormai pervaso non solo la destra, ma anche e soprattutto il centro sinistra per non dire del M5S. Ormai non ci si divide su una visone del mondo, su un’idea di Paese, ma sull’identificazione personale con il leader.

Un sistema che rispecchia un profondissimo deficit culturale, una scarsissima disponibilità di idee o progetti da parte di una classe dirigente nel migliore dei casi mediocre ed improvvisata che aspira a nascondere tale mediocrità dietro il carisma di un leader. La gestione concreta delegata a personale tecnico “prestato alla politica” che privo di una visone politica e strategica, ma soprattutto di una scala valoriale, gestisce il Paese in modo meccanico, con una logica da ragioniere, con la politica ridotta solo alla mera gestione del potere personale e di una sempre più larga e diffusa corruzione.

Questa è l’eredità che ci lascia Berlusconi. Non comprendo chi stasera festeggia e inneggia ad una liberazione che sinceramente non riesco a vedere. L’orizzonte è fosco e la caduta di Berlusconi e della sua corte dei miracoli ci lascia infetti e senza difese contro il morbo che ci domina. 

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