Per i primi le luci sono sempre accese, per i secondi, tra questi il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo e il collega di Caltanissetta Nico Gozzo, no. Parlarne significa non lasciarli soli, proteggerli. Quello che più sconcerta è il comportamento volgarmente censorio delle istituzioni: per i minacciati di Serie A si sprecano gli inviti, le conferenze, i premi e la garanzia di un posto in parlamento, per Di Matteo e gli altri pm, le attenzioni sono quelle di Totò Riina e del suo giro: “Questi cornuti, se fossi fuori gli macinerei le ossa”.
Sempre per “sant’Auditel”, è meglio avere ospiti in tv Renzi e Alfano, oppure dare spazio alle parole del pregiudicato Berlusconi che ancora oggi insiste nel definire il mafioso Mangano un “eroe”. Neanche dopo che Riina ha detto su Di Matteo: “Che vuole questo? Perché mi guarda? A questo devo fargli fare la fine degli altri”, le istituzioni sono intervenute pubblicamente.
I presidenti del Senato, della Camera, del Consiglio, al di là delle parole di circostanza, non sono andate in procura a Palermo per testimoniare la loro solidarietà. Il silenzio assordante di Napolitano non è giustificabile neanche dal fatto che deve deporre al processo sulla “trattativa” tra Stato e mafia sul contenuto delle intercettazioni telefoniche tra lui e Mancino. Di Matteo è un uomo e un magistrato tutto d’un pezzo (questo non gli è da aiuto con un Csm così politicizzato), e come fecero Falcone e Borsellino, si concede pochissimo ai media, parla nei tribunali, perciò meglio isolarlo con un provvedimento disciplinare, e cestinare la sua domanda per procuratore aggiunto. La notizia buona per Di Matteo e gli altri pm è che Riina, contrariamente a una volta, parla molto e agisce poco.
Il Fatto Quotidiano, 27 Novembre 2013