Due ore e mezzo di colloqui e analisi in procura sulle minacce lanciate dagli anonimi e da Riina, e una certezza: “Oggi il clima è preoccupante, la sensazione è che siano tornati in campo interessi e protagonisti che non possono essere riferiti soltanto a Cosa Nostra”, come dice il vicepresidente dell’Antimafia, Claudio Fava. Nel giorno in cui la Commissione di palazzo San Macuto sbarca in procura per esprimere solidarietà ai pm minacciati, i magistrati chiedono e ottengono altri due mesi per completare l’indagine su Renato Schifani, indagato per concorso in associazione mafiosa. Proprio ieri scadevano i quattro mesi assegnati dal gip ai pm che, dopo i silenzi istituzionali dei giorni scorsi, hanno ricevuto la solidarietà dei commissari non ancora insediati.

“È stato un incontro informale – dice il procuratore Francesco Messineo – che ci ha fatto molto piacere”. Accompagnata da una delegazione di dieci commissari, la presidente Rosy Bindi ha scelto il Giardino della Memoria di Ciaculli per la prima uscita pubblica della commissione, proprio per ripartire dalle vittime della mafia, segnando uno spartiacque culturale con Berlusconi, che fino a qualche giorno fa ha continuato a definire il boss Vittorio Mangano un “eroe”. “Le parole dell’ex premier fanno male – ha detto la Bindi partecipando a un convegno della Dia – e stridono profondamente con la risoluzione approvata dal Parlamento europeo e con il Giardino della Memoria che ho visitato questa mattina, dove ci sono magistrati, poliziotti e giornalisti che hanno dato la vita. Loro sì che sono eroi”. E se per Fava c’è una “soglia di pericolo che non si limita alle invettive di Riina, che ha il suo epicentro nello sviluppo e nelle sorti dell’indagine sulla trattativa e che riporta al clima di venti anni fa”, in procura si continua a lavorare alle indagini sull’ex presidente del Senato che tre giorni fa, all’hotel delle Palme di Palermo, ha battezzato il Ncd siciliano, tra gli applausi di quattrocento “alfaniani” che lo hanno accolto come il profeta di una nuova era.

Da oggi, quindi, i pm hanno altri due mesi per completare le indagini: glieli ha concessi il gip Piergiorgio Morosini che il 26 luglio scorso aveva detto no all’archiviazione invocata dalla procura di Palermo chiedendo di approfondire le amicizie pericolose di Schifani con i “picciotti” di Villabate e di Brancaccio. I prossimi 60 giorni serviranno, probabilmente, a completare gli interrogatori dei sette pentiti indicati dal gip: Nino Giuffrè, Mario Cusimano, Giovanni Drago, Salvatore Lanzalaco, Innocenzo Lo Sicco, Tullio Cannella e Salvatore “Uccio” Barbagallo, tutti depositari di notizie su presunti rapporti di Schifani con la famiglia mafiosa di Brancaccio e con i boss del clan Mandalà di Villabate, a cavallo delle stragi del ‘92.

Già a luglio scorso, quando il gip rifiutò di archiviare l’indagine, Schifani non l’aveva presa bene (“Dopo tre anni, pensavo che il gip accogliesse la richiesta di archiviazione”), nonostante avesse incassato immediatamente la solidarietà di Berlusconi: “Sono vicino all’amico Schifani – disse l’ex premier – colpito dall’inaspettata decisione del gip di Palermo che ha disposto approfondimenti istruttori su fatti che risalgono a venti anni fa”. A luglio, Morosini indicò come particolarmente rilevante, per provare eventuali rapporti di Schifani con la mafia di Villabate, l’audizione di Nino Giuffrè, capo del mandamento di Caccamo (Palermo), più volte ascoltato nel processo che ha portato alla condanna del boss Antonino Mandalà, indicato da Campanella come il “referente mafioso” dell’ex presidente del Senato. E poi la presunta frequentazione tra il presidente dei senatori del Pdl e il boss Filippo Graviano su cui dovranno essere sentiti Drago e Cannella, entrambi pentiti di Brancaccio.

E non solo. Morosini ha chiesto di approfondire ancora le dichiarazioni di Spatuzza che ha rivelato di aver visto Schifani, avvocato dell’imprenditore Pippo Cosenza, recarsi a piedi nel capannone di quest’ultimo, un fabbricato nel cuore di Brancaccio frequentato anche da Graviano. E infine, la procura dovrà sentire anche Giovanni Costa, un faccendiere palermitano arrestato a settembre a Santo Domingo: “Prima o poi – ha detto Costa – la verità su Schifani dovrò raccontarla tutta”.

da Il Fatto Quotidiano del 27 novembre 2011

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