Se ne parla e se ne è parlato tanto di Poetry Slam in Italia. Spesso a sproposito.
Chi – come me – si è preso nell’ormai lontano 2001 la responsabilità e il rischio di introdurre questa singolare ‘gara di poesia’ in Italia, ne ha sentite e viste di tutti colori sullo Slam, qua in Italia.
A volte mi capita di avere inviti a discutere di Poetry Slam da persone che, pur animate dalle migliori intenzioni e dai più disponibili atteggiamenti, in realtà non hanno affatto capito di cosa si tratti.
Allora, per intanto, facciamo un po’ di chiarezza. Poi vi dico il seguito.
Il Poetry Slam è sostanzialmente una gara di poesia in cui diversi poeti leggono sul palco i propri versi e competono tra loro, valutati da una giuria composta estraendo a sorte cinque elementi del pubblico, sotto la direzione dell’Emcee (Master of Cerimony), come dicono in America, mutuando il termine dallo slang Hip Hop.
Ma lo Slam è poi, in verità, molto di più, ed è in questo ‘di più’ che sta la ragione del suo dilagante successo in America, Canada, Inghilterra, Germania ed da tempo anche in Italia. Lo slam è un modo nuovo e assolutamente coinvolgente di proporre la poesia ai giovani, una maniera inedita e rivoluzionaria di ristrutturare i rapporti tra il poeta e il ‘pubblico della poesia’.
Lo Slam è competizione (quella vera, che significa, stando all’etimo, ‘tendere allo stesso scopo’) e insieme arte della performance, è poesia sonora, vocale; lungi dall’essere un salto oltre la ‘critica’, lo Slam è un invito pressante al pubblico a farsi esso stesso critica viva e dinamica, a giudicare, a scegliere, a superare un atteggiamento spesso tanto passivo quanto condiscendente, e dunque superficiale e fondamentalmente disinteressato, nei confronti della poesia.
Lo Slam inoltre riafferma, una volta per tutte, che la voce del poeta e l’ascolto del suo pubblico fondano una comunità, o meglio una Taz (Temporary Autonome Zone), come direbbe Hakim Bey, in cui la parola, il pensiero, la critica, il dialogo, la polemica e insieme la tolleranza e la disponibilità all’ascolto dell’altro sono i valori fondamentali.
Insomma, lo Slam dimostra, con la sua stessa esistenza e il suo diffondersi, l’indispensabilità della poesia nella società contemporanea e soprattutto il suo essere arte adeguata ai nuovi e mutati contesti antropologici proposti dal terzo millennio, specie se portata fuori dai libri e dalle incrostazioni scolastiche.
Fare Poetry Slam, insomma, non è soltanto problema ‘poetico’, ma anche integralmente ‘politico, è insomma un fatto po-ethicus, per rubare un calembour a Danilo Kiš.
In tutta Europa e nelle Americhe, lo Slam, da tempo, ha saputo costruire una sua rete, insieme poetica e politica, capace di garantire nuovi canali di contatto tra poeta e pubblico, eccentrico al chiacchiericcio imposto dal mainstream, facendo crescere qualitativamente e formalmente i suoi partecipanti e lo ha fatto riunendo in un’associazione nazionale, europea e internazionale tutte le associazioni e i poeti che si riconoscono nelle regole fondamentali del Poetry Slam.
Qui da noi è andata un po’ diversamente: pur essendo stata l’Italia il luogo si è tenuto il primo Poetry Slam internazionale al mondo, finora nessuna organizzazione era sorta, così da tempo in Italia strani organismi mutanti vengono organizzati sotto le mentite spoglie del Poetry Slam: gare in cui la giuria non è scelta a caso tra il pubblico, ma che replicano tristemente le mafie e le mafiette di certo sottobosco critico, ad esempio.
Né era stato sinora possibile unire gli sforzi dei tanti che su tutto il territorio si sforzano da anni di diffondere e difendere lo Slam, inteso come pratica virtuosa della poesia ad alta voce e insieme proposta di un nuovo patto dialogico tra poeta e pubblico.
È per questo che – Imho – va salutata con gioia la nascita della Lega Italiana Poetry Slam (LIPS) annunciata recentemente da un gruppo di giovani EmCee italiani, nell’ambito del Trieste International Poetry Slam tra i più bravi e attivi, affiancati da decine di poeti e poetesse che da tempo praticano il Poetry Slam, alcuni di loro con una fama ormai saldamente europea. L’iniziativa coordinata alla nascita da Christian Sinicco, Max Ponte, Dome Bulfaro, presto affiancati da decine di altri poeti, alcuni come Sergio Garau con una fama europea ormai consolidata, studiosi del fenomeno come Marco Borroni, rapper e organizzatori da tutta Italia, rappresenta una svolta importante nell’ancor giovane storia del Poetry Slam italiano, essa permetterà di creare infine una struttura nazionale che metterà in comunicazione moltissime realtà sinora isolate, o lontane, permetterà incontri, scontri, polemiche, sinergie, collaborazioni. Farà, insomma, vivere lo Slam.
Tutti ci aspettavano in Europa, non a caso il vincitore italiano parteciperà sin dal 2014 alle finali europee che si terranno in Svezia.
Non posso che esserne felice, con buona pace di coloro che sinora hanno creduto (e sospetto continueranno a credere) che per far scomparire un medium così ‘scomodo’ come lo Slam bastasse ignorarne l’evidente successo, far finta di nulla, snobbarlo con l’eburneo sussiego che si confà a certi veri letterati.
Magari per una volta eviteranno di ricordarci che nei Poetry Slam si esibiscono a volte anche pessimi poeti, così a noi sarà risparmiato di fornir loro l’elenco di tutte le assurde ed orribili raccolte con cui intasano decine di tipografie.
E infine torneremo, per davvero, a parlare di poesia.
Nei libri e ad alta voce.