Entro il 31 dicembre, le industrie del cratere dovranno versare la prima rata del prestito per le imposte maturate da giugno 2012 a maggio 2013 e parte dei contributi dei dipendenti trattenuti nello stesso periodo. Nicolini di Terremosse: "Non abbiamo liquidità"
Nuove tasse da pagare, senza la liquidità necessaria per farlo. È un appello quello che Rete Imprese ha rivolto alle istituzioni in rappresentanza delle aziende terremotate del ‘cratere’, che entro il 31 dicembre dovranno versare, non solo la prima rata del prestito relativo alle tasse maturate da giugno 2012 a maggio 2013, ma anche parte delle quote di contributi dei dipendenti, trattenute da maggio 2012 a settembre 2013. “Una cifra importante – spiega Sandro Romagnoli di Sisma.12 – che l’80% delle imprese non riuscirà a pagare”. Perché il problema, raccontano gli imprenditori emiliani, “è che nel cassetto abbiamo molti debiti e quasi nessuna liquidità”. E quel prestito, sottolinea Alberto Nicolini, presidente di Terre Mosse, associazione che riunisce oltre 40 imprese terremotate, “doveva servire, ed è stato speso, per finanziare il riavvio della produzione”.
Per ricostruire i capannoni, gli impianti, insomma, per comprare nuove scorte, o per delocalizzare temporaneamente la produzione così da tenere accesi i macchinari. “Dei contributi per la ricostruzione qui non si è ancora visto un euro – racconta Nicolini – tutto ciò che è stato fatto in questi 18 mesi lo si è fatto con le nostre sole forze. Eppure ora vengono a chiederci la restituzione dell’unica fonte di liquidità che sia mai arrivata, il prestito relativo alle tasse maturate, per di più pretendendo che venga pagato in 12 mesi”. Perché se la prima scadenza per restituire finanziamento e contributi è il 31 dicembre 2013, la seconda è il 31 dicembre 2014: “In un anno, quindi, noi dovremo saldare tutto ciò che abbiamo in sospeso, versando quote pari a un terzo del debito alla volta, e se questo vale per le imprese, vale anche per i dipendenti. Che in questo modo, se non interviene l’azienda ad aiutarli, perdono tutta la tredicesima e lo stipendio del mese di giugno. Nello stesso momento in cui, tra l’altro, termina la sospensione per il pagamento delle rate dei mutui sulle case. Ma come si fa?”.
L’unica soluzione trovata, al momento, è la stessa che ha consentito a molte realtà di ripartire nonostante tutto: la solidarietà. Perché sono molte le imprese che, come la Martini S.p.a di Concordia sulla Secchia, 150 dipendenti, specializzata nell’illuminotecnica, o la Mantovanibenne di Mirandola, metalmeccanica, 50 lavoratori, hanno deciso di farsi carico dei contributi dei lavoratori, anticipando la somma allo Stato per consentire ai propri operai di pagarla a rate, invece che in un’unica soluzione. Per una semplice ragione: “Le imprese, sebbene con sacrificio, possono ricorrere alle banche, concordando un piano finanziario, ma i lavoratori no – spiega Nicolini – per questo di loro iniziativa tanti imprenditori hanno deciso di aiutare i propri operai”. “Purtroppo quella in atto è una guerra fra poveri e tocca a noi fare qualcosa – racconta Alberto Mantovani, titolare della Mantovanibenne – la nostra fabbrica è stata distrutta dal terremoto e abbiamo dovuto ricostruirla tutta, ma anche i nostri operai devono mangiare. Sappiamo che le famiglie dei lavoratori fanno fatica, non sanno come pagheranno il mutuo, l’affitto, e certo, è un sacrificio per noi anticipare quel denaro, ma lo facciamo volentieri”.
Nessuno dimentica, nella bassa, che anche i privati hanno dovuto sostenere “spese straordinarie”. Con le case da ricostruire e i fondi statali ancora latitanti, del resto, “siamo tutti in difficoltà e dove si può ci si da una mano”. Difficile però per i terremotati non paragonare il caso Emilia a quello dell’Aquila. “All’Aquila la resitituzione dei tributi è avvenuta dopo 10 anni, in 120 rate e con un abbattimento del 60% – precisa infatti Terre Mosse – noi emiliani invece dovremo pagare il 100% in 12 mesi. E’ una beffa oltre al danno. A cosa serve lodare il valore di una terra che non si arrende se poi veniamo trattati in maniera così indecente?”.
Ciò che Rete Imprese e aziende terremotate chiedono non è una “No tax area”, “né una proroga gratuita”, precisano. “Lo spostamento della scadenza di dicembre al 30 giugno 2014, e una successiva dilazione dei pagamenti in cinque anni sono una necessità, e siamo disposti anche a pagare gli interessi su questa eventuale proroga, purché siano a tasso agevolato”. Un punto che in realtà doveva già essere ratificato all’interno del Pacchetto Emilia inserito nella Legge di Stabilità, presentato dal Governo e approvato, nella notte tra martedì e mercoledì, dal Senato, ma che, spiega il senatore democratico Stefano Vaccari, non è passato per via “dell’interruzione del percorso del testo in commissione Bilancio”.
Il tempo, tuttavia, stringe, e “la proroga è necessaria – ribadisce Nicolini – per le imprese e per le famiglie dei lavoratori, che avranno bisogno del loro stipendio per pagare le rate del mutuo sulle loro case”. “Noi non chiediamo una proroga per tenerci i soldi in banca – spiega Mantovani – la chiediamo per sopravvivere. Stiamo subendo una crisi che è economica ma anche di mercato, siamo rimasti fermi un anno e ora dobbiamo reinserirci in un tessuto, che peraltro è in crisi, da capo. Il governo non può dimenticare che questa non è la terra del “bengodi”, e che qui stiamo lottando ogni giorno per andare avanti”.