Forte della sua “artiglieria” tuttora intatta, come la chiama Giovanni Sartori, e cioè di un circuito politico-mediatico nella sua diretta disponibilità e della condiscendenza dei media che non sono direttamente di sua proprietà, Berlusconi non ha scelto l’aula del Senato per rivendicare “la sua innocenza” e rilanciare la sua guerra ventennale alla giustizia. Alla fine “l’ innocentissimo” ha rinunciato in extremis anche alla terza camera di Bruno Vespa, come luogo deputato per l’offensiva e nelle stesse ore in cui a distanza di quattro mesi dalla condanna definitiva, il Senato ha votato la sua decadenza “immediata”, secondo la Severino già applicata nei confronti di innumerevoli eletti nei consigli regionali, ha arringato la sua piazza davanti alla sua residenza.
Tra le bandiere di Fi, tante quanti i manifestanti spesso non organizzati autonomamente come quelli da Gioia Tauro, anche gli exploit del cartello ricalcato da quello di Aldo Moro in mano alle Brigate Rosse con l’immagine sostituita dal Berlusconi-prigioniero politico, e lo striscione a lettere cubitali “colpo di stato” appeso alle finestre di palazzo Grazioli. Una replica stanca del 4 agosto, a tre giorni dalla sentenza Mediaset, questa volta contro gli avversari “euforici e brindanti” che non potranno “risarcirlo” per “l’omicidio politico” che in qualche manifesto, con scempio anche del vocabolario della lingua italiana, viene definito “strage politica”.
Un Berlusconi sempre più stanco e sconnesso dalla realtà si è ripetuto sfidando in primo luogo le capacità medie di resistenza di qualsiasi ascoltatore con la sua cronistoria processuale dominata dalla virulenza della magistratura politicizzata che avrebbe imposto all’Italia, perseguitandolo e tentando di eliminarlo contro la volontà degli elettori, “la via giudiziaria al socialismo”. “Dal ’92 in poi infiltrandosi progressivamente dalle procure ai collegi giudicanti” fino alla Cassazione, “Magistratura Democratica ha fatto esattamente quello che avevano cercato di fare le Br“, e dato che con “un colpo di stato” lui è stato estromesso dal Parlamento, si può arguire che le toghe rosse abbiano coronato il loro progetto.
Ancora una volta è toccato intervenire al presidente dell’Anm Alfonso Sabelli, che non è animato da uno spirito particolarmente battagliero, per ricordare pacatamente come i magistrati sono stati tra le vittime delle Br, ma Il Giornale è insorto con slancio irrefrenabile contro “il sindacato delle toghe che dopo il voto liberticida salta al collo del Cavaliere“. E’ superfluo e anche ripetitivo annotare come una manifestazione del genere con un condannato in via definitiva per frode fiscale che fa un discorso del genere, davanti alla sua residenza privata, già sede effettiva di governo quando il suddetto era presidente del Consiglio, altrove potrebbe essere solo un soggetto surreale per un film dei Monthy Python. Senza parlare dell’ancora più surreale scia di commenti e reazioni plaudenti o quanto meno sommamente rispettosi.
Qui invece dobbiamo ricordarci come ci ha avvertito il decaduto già alla vigilia del voto che “non è che un inizio”, che l’8 dicembre in contemporanea con le primarie del Pd ci sarà la prima di una serie non preventivabile di repliche e che si tratta solo dell’apertura della campagna elettorale probabilmente più bellicosa, quantomeno contro la magistratura. Eppure la “rinata” Fi con il vento in poppa dei sondaggi, farebbe forse bene a riflettere sull’esito delle amministrative a Milano con il mega-boomerang del linciaggio a Ilda Boccassini, già “cancro della democrazia” e il manifesto dei Pm-brigatisti. E forse anche la lettura che la segretaria radicale ha dato del flop dei tanto sbandierati referendum per “la giustizia giusta” tra i quali la separazione delle carriere e la responsabilità civile dei magistrati che non hanno raggiunto le 500mile firme andrebbe ribaltata.
Il problema, al di là della fondatezza dei quesiti referendari, è stato che il Berlusconi in decadenza li ha firmati troppo tardi, come sostiene la Bernardini, o magari che il duetto tra il condannato per frode fiscale che pretende da vent’anni l’impunità e il vecchio difensore dei diritti civili Marco Pannella ha disgustato molti cittadini in buona fede?