Si complica ancora la vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati di aver ucciso due pescatori scambiati per pirati. La polizia investigativa indiana (Nia) ha presentato un rapporto in cui accusa i fucilieri del San Marco in base a una legge che prevede la pena di morte. A riportarlo è il The Hindustan Times. Il governo di Nuova Delhi, però, ribadisce che “il caso non rientra tra quelli che sono punibili con la pena di morte”. Lo ha detto oggi il portavoce Syed Akbaruddin intervenendo in una conferenza stampa.
Ma per il giornale indiano, gli investigatori avrebbero presentato lunedì al ministero degli Interni un rapporto in cui si chiede di perseguire i due militari in base al “Sua Act” che reprime la pirateria marittima con la pena di morte “nonostante le ripetute richieste pressanti del ministero degli Esteri di trattare il caso con capi di imputazione che prevedono pene più lievi”.
L’incidente della nave Enrica Lexie è avvenuto a 20,5 miglia nautiche al largo delle coste del Kerala, oltre quindi le acque territoriali indiane ma all’interno della cosiddetta “zona di interesse economico esclusivo” che si estende fra 12 e 200 miglia nautiche e su cui il “Sua Act” si applica. “La nostra logica – ha detto al giornale un responsabile della Nia – è che uccidendo i pescatori, i marò hanno commesso un atto che ha messo in pericolo la navigazione marittima. E siccome c’è stato un omicidio, sono passibili di essere accusati in base ad una legge che prevede la pena di morte”. Dalla polizia però è arrivato un secco “no comment” all’agenzia Ansa che chiedeva la conferma del rapporto in cui si chiede la pena capitale. Raggiunto telefonicamente, il vice ispettore P.V. Vikraman si è limitato a dire: “Non posso commentare. Non sono in una posizione per poterlo fare”.
Ma il quotidiano ha avuto conferma ieri sera della consegna del rapporto dai ministeri degli Interni, Esteri e dalla stessa Nia. Parlando con l’Ansa, una fonte diplomatica ha tuttavia ricordato “che la decisione finale spetta al giudice che dovrà formulare i reali capi di accusa” a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Il giornale sottolinea, inoltre, l’acceso contrasto tra il ministero degli Esteri e quello degli Interni sulla vicenda. Lo scorso aprile, il titolare degli Esteri Salman Khurshid si era impegnato con l’Italia sostenendo che il caso dei due fucilieri non rientrava fra quelli “rari tra i più rari” che prevedono l’applicazione della pena di morte. Lo stesso ministero degli Interni aveva modificato un suo ordine alla Nia rimuovendo il riferimento al “Sua Act”.
La legge, approvata nel 2002 in conformità con i trattati internazionali sulla sicurezza marittima, sarebbe al centro dell’acceso dibattito fra i due ministeri. La “legge per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e le strutture fisse sulla piattaforma continentale” stabilisce chiaramente che se qualcuno uccide un altro, sarà passibile di pena di morte. Questo è fissato nell’articolo 3, comma g e i della legge in cui si dice che “chi causa la morte di qualsiasi persona sarà punito con la morte”. Secondo quanto riferisce ancora Hindustan Times, il ministero degli Esteri si è impegnato ad “assicurare che i due militari non siano perseguiti in base al Sua Act”. “Questo sarebbe una violazione della promessa fatta da Khurshid – spiega – che ha il valore di una garanzia di uno Stato sovrano”. Per questo, dopo la consegna del rapporto della polizia investigativa, il dicastero degli Esteri “farà un’attenta valutazione e esaminerà tutti gli aspetti legali prima di dare la sua posizione ufficiale”.
“Anche in passato abbiamo visto notizie della stampa indiana che poi rappresentavano soltanto delle illazioni. Sia da parte del governo indiano che delle autorità italiane non ci sono commenti”. Lo ha detto l’inviato speciale del governo Staffan De Mistura contattato dall’Adnkronos dopo l’articolo pubblicato dall’Hindustan Times. Interviene sulla vicenda anche l’avvocatura dello Stato: “Non so se la notizia ha fondamento – dice il legale Carlo Sica – ma comunque dal punto vista oggettivo è una forzatura. Anche se anche si volesse accusare i due fucilieri di omicidio volontario, che già sarebbe un reato contestabile, comunque non potrebbe essere attentato alla navigazione. Anche in Kerala, dove inizialmente avevano ipotizzato per l’attentato, avevano poi deciso per l’omicidio volontario“.