“Il declino della violenza” (Feltrinelli edizione, 45 euro) di Steven Pinker, docente di Psicologia e direttore del Centro di neuroscienza cognitiva al Massachussets institute of technology, è un ottimo libro da cui far partire innumerevoli spunti di riflessione. Pinker parla di violenza, senza la facilità con cui questa parola è oggi sulla bocca di tutti. Ne parla attraverso una lunga e accurata analisi del fenomeno, corredandola di dati ogni volta che è possibile, per arrivare alla conclusione che viviamo in una delle epoche meno violente della storia.
Rispetto al passato ritengo che abbiamo perso alcuni valori che mettono di fronte l’uomo a fragilità prima non esistenti e con cui oggi dobbiamo fare i conti. Andare oltre un breve accenno aprirebbe questioni affrontabili necessariamente in un altro spazio. Sono convinto che la violenza sociale oggi assuma contorni più subdoli e meno decifrabili, ma è anche vero che la maggior parte di noi finirà la propria vita quando saranno finiti in modo naturale i suoi giorni e non prima a causa di guerre, uccisioni, malattie, torture e altro ancora. Una situazione che gli abitanti del 2013 non conoscono sulla propria pelle nelle stesse proporzioni dei loro antenati. Viviamo forse in una epoca dove la violenza ha molteplici maschere, meno cruente, ma comunque incisive.
Una parte del libro analizza la violenza sulle donne ed è su di quella che mi voglio soffermare. La realtà di riferimento è quella americana, ma molte considerazioni, a mio avviso, possono assumere un carattere generale. L’esistenza di uomini maltrattati è reale quanto lo è l’esistenza di donne maltrattate. Entrambi i sessi hanno possibilità di essere vittime di una “violenza coniugale”. Operiamo però una decisiva differenza tra litigi coniugali che sfociano in violenza e l’intimidazione e sopraffazione sistematica di un partner sull’altro.
In coppie in cui uno dei due minaccia l’altro con la forza, lo controlla limitandone i movimenti e le finanze, manifesta rabbia nei confronti dei figli e avarezza di lodi e dimostrazioni d’affetto, abbiamo un dominatore e quindi uno sbilanciamento notevole di potere. Nelle ricerche del sociologo Michael Johnson che ha analizzato i dati sulle interazioni tra i partner in rapporti considerati violenti esso risulta quasi sempre un uomo. In questi contesti, molte delle violenze utilizzate dalle donne invece sono rapportabili anche a una difesa di se stesse e di eventuali figli.
Se nel rapporto non emerge la figura del dominatore, la violenza ha luogo in discussioni che degenerano e, in questi casi, gli uomini sembrano essere solo leggermente più inclini all’utilizzo della forza. “Dominatori/dominati” e “persone litigiose” sono quindi due categorie distinte con peculiarità proprie, quando parliamo di violenza di genere. Nei rapporti litigiosi c’è un rapporto più paritario e meno asimmetrico. Ad arrivare ai centri rifugio e a denunciare le violenze sono donne in rapporti con uomini dominanti. Tra ex partner inoltre sono molti di più gli uomini che arrivano ad avere comportamenti violenti e persecutori.
Pinker afferma che, per quanto riguarda la litigiosità che può sfociare in aggressività, all’interno delle coppie, le cose non sono cambiate molto probabilmente nel corso degli anni, ma diverso è il discorso per gli atti di violenza considerati vere e proprie aggressioni. Tra i dati presentati nel libro abbiamo – dal 1993 al 2005 – le segnalazioni di atti di violenza contro le donne nella coppia sono diminuite di due terzi e gli atti di violenza contro gli uomini si sono dimezzati.
Come afferma l’autore “il femminismo ha fatto molto bene agli uomini”. Dopo la nascita e l’affermarsi dei movimenti delle donne le possibilità che un uomo venga ucciso dalla sua partner o ex partner sono diminuite di sei volte senza bisogno che ci fosse alcuna campagna per contrastare la violenza sugli uomini. La probabilità che una donna arrivi ad ammazzare un uomo perché non ha altra difesa è diventata minore con l’istituirsi di centri antiviolenza e possibilità di tutele giuridiche che prima non c’erano.
Pinker, analizzando il declino di varie forme di violenza, giunge alla conclusione che anche il maltrattamento domestico andrà diminuendo e mi trova d’accordo. Non credo che l’eliminazione della violenza sia di genere che di altra natura potrà mai essere davvero realistica: l’aggressività è una componente dell’essere umano, ma una sua drastica riduzione è sicuramente possibile in un processo lento, ma inesorabile che faccia leva non sull’aspetto repressivo (anche se la certezza di una pena come deterrente è indispensabile) o di imposizione. D’altronde la condizione della donna ha subito, anzi ha agito (per evidenziare il ruolo attivo delle donne in ciò) grossi mutamenti sebbene ancora lontani dalla parità di diritti ed opportunità.
Il tassello che ancora manca e che ritengo indispensabile è l’aumento della capacità di messa in discussione di noi uomini in un contesto nostro e paritario. La creazione di gruppi di autoconsapevolezza maschile sono uno dei migliori strumenti per raggiungere le parità. Se per femminismo intendiamo la presa di consapevolezza delle donne da cui è nata una operatività concreta e questo ha aiutato noi uomini, una nostra presa di consapevolezza sono convinto ci renderà operativi allo stesso modo ed aiuterà le donne.
Sempre citando dal lavoro di Pinker una convincente massima di Victor Hugo è “non c’è nulla di più potente di un’idea il cui tempo è venuto”. Il tempo dei pari diritti e delle pari opportunità non so se è ancora giunto, ma sono certo che non è lontano come può sembrare. Me lo auguro di cuore.